Uccise il patrigno a colpi di machete davanti ai carabinieri. In corte d'assise i giudici gli riducono ulteriormente la pena. L'avvocato di parte civile: "Lo hanno fatto solo perché la vittima era uno straniero"
Sei anni e otto mesi di carcere. “Tanto vale la vita di un albanese in Italia”, ha affermato l’avvocato Mauro Cavalli, dopo che la Corte di assise d’appello ha ridotto la pena di Nicolas Fini, diciannovenne di Imola in carcere da due anni per aver ucciso con cinque colpi di machete il suo patrigno, Emiljan Keci, muratore albanese di 28 anni. Dagli otto anni di condanna ricevuti dal gup in primo grado con rito abbreviato ai sei anni e otto mesi, ed un risarcimento alla famiglia di Keci di 200.000 euro disposti dalla Corte d’assise d’appello.“Una sentenza ingiusta e anomala”, secondo Cavalli. “Ingiusta perché si riduce la pena ad un omicida che non si è preoccupato di risarcire la vittima nemmeno parzialmente e anomala perché la pena appare troppo bassa per l’oggettiva gravità del fatto”. Non sono d’accordo gli avvocati Daniela Mascherini e Franco Oliva, legali di Fini, secondo cui “la sentenza non è fuori luogo ma tiene conto della storia drammatica di Nicolas, costretto a sopportare le violenze del patrigno nei confronti della madre”.
Il legale di Keci invierà una lettera al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, al fine “ di chiedere una procedura ispettiva ministeriale per verificare che siano state tutte le condizioni di legge per comminare una sentenza al di sopra di ogni perplessità giuridica”. Una pena di sei anni e otto mesi di reclusione, secondo Cavalli, non dovrebbe essere applicata ad un reato di omicidio volontario che, in un processo abbreviato, potrebbe costare all’imputato dai 13 ai 16 anni di carcere. “Già gli otto anni di condanna disposti dal gup Bruno Giangiacomo in primo grado – conclude Cavalli – non ci erano sembrati sufficienti per punire un omicidio volontario”.
Ma il gup, si legge nella sentenza del 1 giugno 2010, condannò Fini ad otto anni di reclusione dopo la concessione “ delle attenuanti generiche e la diminuente del vizio parziale di mente”. Così come accertato dal perito Vittorio Melega, che nella perizia psichiatrica consegnata al gup, dimostrò la stato di seminfermità mentale di Nicolas, causato da un disturbo temporaneo da stress. “Per descrivere lo stato d’animo in cui si trovava nei momenti che hanno preceduto l’aggressione – si legge nella perizia psichiatrica – Nicolas ripete ossessivamente “avevo paura, una grande paura, una paura che non avevo mai provato in vita mia”.
Dal giorno in cui ha ucciso il patrigno, marito di seconde nozze della madre, Nicolas Fini non è più uscito dal carcere. Era il 29 giugno 2009, quando, si legge nella sentenza del processo di primo grado, “ il ragazzo veniva visto dai militari sbucare da dietro, aggirarli e scagliarsi sul patrigno armato di un machete con il quale gli sferrava alcuni fendenti alla testa”. L’omicidio di Emjlian Kleci avvenne sotto gli occhi dei Carabinieri, chiamati proprio da Nicolas per sedare una lite, l’ennesima, tra il patrigno e la madre quarantaduenne iniziata in un bar della periferia.
All’arrivo nella casa di via Primo Maggio, a Imola, i carabinieri – si legge nella perizia psichiatrica – “invece di neutralizzare subito il Keci si mettono a prendere appunti sull’identità delle persone e su quanto era successo. “Io mi aspettavo che lo prendessero e lo portassero via, invece si limitavano a scrivere quello che era successo”, avrebbe detto Nicolas Fini al dottor Melega. I carabinieri, è scritto invece nella sentenza, tentarono di calmare Keci, visibilmente ubriaco, che rivolgeva insulti e minacce di morte nei confronti di Fini e della madre. E fu questa, probabilmente, la causa scatenante della reazione omicida di Nicolas.
“Ancora oggi non riesce a ricostruire il momento in cui è andato a prendere il machete – continua il dottor Melega nella perizia – arma che aveva sottratto al Keci stesso per paura che la usasse contro di lui e la madre, come è riuscito ad eludere la vigilanza dei carabinieri, come e dove ha furiosamente colpito la sua vittima”.
Poco dopo la reclusione in carcere di Nicolas Fini, che ha già scontato due anni e, secondo il legale Mascherini, “probabilmente non sconterà l’intera pena ma potrà beneficiare dei benefici disposti dalla legge”, Andrea Naldi, amico di Fini, aprì un gruppo su Facebook dal titolo Aiutiamo Nicolas ad uscire dal carcere. Nella netiquette del gruppo si legge che il gruppo è contrario al razzismo e alla violenza contro le donne, che è stato creato “per stare vicino a Nicolas e volergli bene” e che si invitano i partecipanti ad evitare insulti, messaggi a sfondo politico e razziale. Ma i messaggi lasciati sul gruppo da alcuni utenti portarono ad una denuncia contro l’amministratore. Un’ordinanza del Tribunale di Bologna dell’11 marzo ha però archiviato il procedimento nei confronti di Andrea Naldi, ma non dei ventitré utenti autori dei messaggi offensivi. Sulla pagina del gruppo, è riportato nell’ordinanza erano stati scritti commenti violenti che giustificavano l’omicidio di Keci.
“Nicolas è un liberatore e non un criminale – si legge in un commento al vaglio degli investigatori – andrebbe premiato e non punito. Nessuno piangerà il cadavere di Keci. Si è liberato un posto di lavoro che speriamo vada ad un italiano”. “Per Nicolas ci vorrebbe una medaglia al valore per aver ripulito Imola -prosegue sempre lo stesso utente in un altro commento – no la galera ma un riconoscimento, ci ha tolto un problema”. Gli autori dei commenti, già individuati dalla polizia postale, potrebbero finire in carcere per apologia di reato e istigazione all’odio razziale.