Fu proprio con l’attentato sultreno 904, il rapido Napoli-Milano, del 23 dicembre 1984 che Cosa Nostra iniziò la cosiddetta “strategia terroristica mafiosa” che poi portò alle autobombe del 1993 a Firenze, Roma e Milano. Lo dice l’ex procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna: fu lui il pm titolare dell’inchiesta fiorentina su quell’attentato, indagine che portò alla condanna, tra gli altri, di Pippo Calò. Vigna è un po’ sorpreso per le rivelazioni di Giovanni Brusca che hanno portato la magistratura di Napoli ad emettere un ordine di custodia cautelare per Totò Riina, il cui nome non era mai emerso, come mandante della strage (16 morti e 266 feriti). “A questo punto potrebbero essere chiamati in causa anche altri boss”, dice.
“Brusca è stato arrestato nel giugno del 1996 e per mesi interrogato da Caselli, Tinebra e dal sottoscritto. Mai è emerso qualcosa del genere – spiega Vigna -. Sono un po’ sorpreso anche se questo conferma le ipotesi stragiste che portarono all’arresto e alla condanna di Pippo Calò”. Quindi mai nessuno, fino ad ora, aveva fatto il nome di Riina? “No. Lo escludo nella maniera più assoluta” aggiunge.
L’ex procuratore è convinto, “lo dice il codice”, che gli atti della nuova inchiesta possano arrivare a Firenze: “Venne provato, ci fu un testimone che lo riferì, che le valige con l’esplosivo erano state sistemate sulla carrozza 9 del treno, quella dove avvenne l’esplosione, alla stazione di Firenze. E, inoltre, scoprimmo che il congegno che provocò l’esplosione era stato attivato nei pressi di Vernio, in Toscana, poco prima che il treno entrasse nella galleria”.
Una galleria, quella tra Vernio (Prato) e S. Benedetto Val di Sambro (Bologna), scelta comunque non a caso. “E’ vero: venne decisa la stessa galleria dove dieci anni prima, nell’agosto 1974, c’era stato l’attentato all’Italicus perché, come confermato anche da Tommaso Buscetta, Cosa Nostra voleva deviare e sviare l’attenzione pubblica dal pericolo mafioso e far credere che l’unico vero pericolo in Italia era quello terroristico”, risponde Vigna che ricorda tutti i protagonisti dell’inchiesta e come fu provato il ruolo di “cervello” svolto da Calò “boss della famiglia palermitana Porta Nuova” e membro della commissione di di Cosa Nostra, “oltre che importante terminale in quel momento a Roma”.
Un’inchiesta, risponde ancora Vigna, “che come tutte le altre da noi fatte, compresa quella sulle autobombe del 1993, ci ha visti seguire sempre lo stesso metodo: collegare la condotta dell’indagato all’evento”, e mai quello della semplice “connessione”. E nel caso di Calò non c’erano dubbi? “No. Avevamo tutte le prove necessarie contro di lui, contro Guido Cercola e contro Friedrich Shaudinn, il tedesco che aveva fornito l’innesco”.
Eppure a distanza di anni quell’inchiesta ha ancora una zona d’ombra? “Si, è quella rappresentata dai collegamenti con la Camorra, con la banda di Giuseppe Misso, boss del rione Sanità, a Napoli”. “Tutto il gruppo napoletano in primo grado era stato condannato: Misso, due dei suoi uomini e l’ex parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo, all’ergastolo per strage – conclude Vigna -. Vennero poi assolti dall’accusa più grave e ritenuti responsabili di detenzione e porto dell’esplosivo utilizzato per la strage”. Un po’ poco secondo l’ex procuratore nazionale.