La gestione passa tutta in mano ai privati e tutta a un'unica cooperativa. L'argomento divide il Pd prima ancora di vincere le elezioni
Asili che verranno chiusi, con i genitori che lo vengono a sapere a voce e con poco anticipo, nidi che verranno ristrutturati in project financing e dati in gestione ai privati con concessioni di almeno dieci anni. Un cambiamento che, come sta succedendo per il nido Roselle, rischia di passare in silenzio.
Intanto a detta di alcuni genitori coinvolti in prima persona da questi cambiamenti, e che vogliono poter continuare a mandare i bimbi nel nido pubblico, nessun candidato sindaco si oppone, e la Cancellieri intanto “fa il lavoro sporco per quelli che verranno”, sospettano alcuni. Il centrosinistra, che ha fatto della scuola pubblica il proprio cavallo di battaglia, dal canto suo non dice no a questo sistema, perché “bisogna vedere come intendiamo la scuola pubblica”, parole di Matteo Lepore del Pd, molto vicino a Virginio Merola e segretario di quartiere del partito a Savena. “La scelta di ristrutturare il Roselle è della commissaria”, dice Lepore, che sottolinea che la sinistra le elezioni non le ha ancora vinte.
E se le vincesse? “Si deve aprire di più ai privati per avere più risorse, e anche per regolarizzare le condizioni lavorative degli operatori del privato. Merola ha proposto di arrivare gradualmente a un contratto unico tra dipendenti di pubblico e privato”. Ed è in programma anche un controllo di qualità? “Verrà effettuato dal coordinamento pedagogico istituzionale, e i genitori potranno dare una valutazione su internet. Ricordiamoci comunque che ci sono città con un sistema già integrato”.
Il sistema però non piace a tutti nel partito e nella coalizione: c’è anzi chi si candida in consiglio comunale con il centrosinistra proprio a difesa della scuola pubblica intesa alla vecchia maniera, come Marina D’Altri, in lista col Pd, e come Mirco Pieralisi in lista Frascaroli, mamma e maestro provenienti entrambi dall’esperienza dell’Assemblea delle scuole. “Nelle scuole paritarie si imboscano a volte scuole per ricchi, scuole che non prendono i migranti o i disabili. E la dismissione dei nidi con il sistema misto, anche se alleggerisce la spesa pubblica, avvantaggia i privati: chi controlla la qualità? Quale sarà la graduatoria per gli educatori? Secondo me questo è l’inizio della dismissione delle scuole pubbliche. Per ogni nido ristrutturato non viene poi reinserito lì il personale pubblico. Sarebbe assurdo che proprio Bologna andasse verso il modello lombardo”.
In lista c’è anche chi la pensa così, e quando si chiede a Lepore se sarà possibile accogliere queste posizioni, lui risponde che “la scuola pubblica è certamente da difendere. Bisogna solo vedere insieme quale idea di scuola pubblica”. Di sicuro c’è che alla voce “scuola pubblica” possono nascondersi le privatizzazioni: una storia vissuta in prima persona da mamme come Sara, 35 anni, medico, che sta crescendo 4 figli, la più piccola di un anno.
Sara Montanari racconta che il nido Roselle, nel quartiere Savena, è stato indispensabile per lei per vivere la sua dimensione di donna, moglie, madre e medico, e che nel nido pubblico ha trovato un aiuto professionale ed esperto per educare i propri figli. Lo racconta, ci sono altri genitori con lei, si sono incontrati per visitare il nuovo asilo, quello provvisorio. Perché l’asilo Roselle, edificio tipico degli anni Settanta ormai ingrigito dal tempo ma che ha resistito agli anni, d’un tratto secondo la commissaria Cancellieri va ristrutturato. Di fare qualche lavoro si era parlato anche nel 2005, si diceva che i soldi fossero stati accantonati, ma poi non se ne fece nulla, e da allora la scuola non ha mai chiuso neppure un giorno per manutenzione, neanche quando un tubo riparato male ha fatto cadere pezzetti di soffitto.
Ai genitori nell’aprile di quest’anno viene invece comunicato, anche se mai in via formale scritta, che l’asilo chiuderà in autunno, che i bambini verranno spostati in un’altra struttura del quartiere. E che dall’anno successivo comincerà il project financing: “privatizzazione sociale”, viene chiamata così. Una cooperativa ristruttura (o costruisce) un asilo, poi lo gestisce per almeno dieci anni, con personale che non passa ovviamente dalle graduatorie pubbliche e che, come documenta Luigi Marinelli del comitato genitori nidi e materne, viene pagato circa 300 euro al mese in meno a parità di prestazione rispetto al dipendente pubblico. Le condizioni lavorative poi spesso sono più pesanti, con turni più lunghi e spesso con meno educatori per numero di bimbi. Senza contare che “a Bologna per ora tutti i nidi con questo tipo di gestione sono stati affidati esclusivamente al consorzio cooperativo Karabak, di cui fanno parte la Dolce, la Cadiai, la Manutencoop, la Camst e la Cipea, che si sono messe insieme e ti fanno il nido dal progetto alla gestione”.
Ma dove sono i controlli da parte del pubblico?, si chiede Marinelli, che porta l’esperienza del nido Pollicino in zona Liber Paradisus, circondato da accumuli alti metri di terriccio di risulta: “I bambini non possono uscire nel parco, c’è il rischio amianto, e su questo nessuno interviene – racconta il sindacalista – mentre nel frattempo vengono chiusi asili pubblici per molto meno”. Già, ma quanti? Matteo Lepore parla di due asili, ma i documenti di bilancio della Cancellieri dicono altro.
Se prendiamo i “Programmi obiettivo approvati dai Quartieri per il budget 2011”, datati aprile 2011, si parla di interventi edilizi prioritari da realizzare da qui al 2013. Un varco per una “privatizzazione sociale” di circa il 30% del servizio. “Realizzazione nuovo nido Marsili (avvio 2011), ristrutturazione nido Roselle (avvio 2011), riqualificazione Nido Coccheri (avvio 2012), riqualificazione nido Martini (avvio 2013), ristrutturazione scuola d’infanzia Giovanni XXIII, realizzazione nuovo nido Allende (avvio 2012)”, e a seguire, per arrivare a una decina di nidi. Compreso il nido Tovaglie, di cui abbiamo già raccontato. Dopo mesi di lotte dei genitori (e un esposto in Procura), pare che i bimbi rimarranno nell’ex Maternità, ma intanto l’acquirente Romano Volta (il proprietario del discusso nuovo tribunale, Palazzo Pizzardi) continua a rimandare il rogito. Nel question time proposto dai consiglieri provinciali Finotti (Pdl) e Flaiani (Fli) questo mercoledì, l’assessore al bilancio Pondrelli ha ammesso che la compravendita non viene rimandata per questioni di liquidità, ma per una trattativa tra l’imprenditore e il Comune su chi pagherà la manutenzione. C’è tra i consiglieri di opposizione chi sospetta che la ragione sia un’altra, legata al nuovo tribunale che è troppo piccolo e per il quale il nome di Romano Volta è finito in un fascicolo conoscitivo della Procura. Ma questa è un’altra storia.