Ecco alcuni spunti critici sulla figura di Giovanni Paolo II contenuti nel libro e riassunti in esclusiva per ilfattoquotidiano.it dall’autore Ferruccio Pinotti. Aspetti che, secondo Pinotti, “il processo di beatificazione ha volutamente evitato di prendere in considerazione, mettendo a tacere ogni voce e testimonianza critica anche interna alla Curia vaticana”.
WOJTYLA E L’UOMO DELLA CASA BIANCA
Di grande interesse l’intervista a Zbigniew Brzezinski, il potentissimo consigliere strategico della Casa Bianca di origine polacca che teorizzò l’uso della religione come strumento per distruggere l’impero sovietico, sostenendo a Est la resistenza polacca e la Chiesa del Silenzio; e a Sud i mujaeedin che in Afghanistan contrastavano i sovietici dando però in seguito ad Al Qaeda. Brzezinski ammette che già nel 76, due anni prima della salita al soglio pontificio, lui e l’arcivescovo Wojtyla ebbero un incontro riservato ad Harvard e che da lì nasce un’amicizia «calda e affettuosa» mai interrottasi. Sarebbe stato Brezinski stesso, attraverso il cardinale Krol di origine polacca, a mobilitare la conferenza episcopale americana per sostenere l’elezione di Wojtyla due anni dopo.
SOLIDARNOSC E I SOLDI DI ROBERTO CALVI
A confermare l’appoggio di Giovanni Paolo II al movimento polacco Solidarnosc è nel libro lo stesso Lech Walesa. Nel biennio 1980-1981 il Banco ambrosiano, tramite il suo presidente Roberto Calvi inizia a versare capitali enormi al sindacato di Wałęsa. Tutto è avviato nella più assoluta segretezza. La cittadella di Solidarnosc ha bisogno di aiuto; la battaglia di resistenza in Polonia è solo una tappa nel più impegnativo confronto con l’impero sovietico. Insieme a Roberto Calvi, deus ex machina dell’intera operazione è Marcinkus, l’anima nera dello Ior, la banca del Vaticano. Marcinkus sarà la figura chiave della politica di papa Wojtyla contro il comunismo. Una battaglia da vincere con ogni mezzo. Anche soldi sporchi, passando per i paradisi fiscali. Con Roberto Calvi, Marcinkus imbastisce una rete di società fantasma nei paradisi fiscali di mezzo mondo, dove arrivano fiumi di soldi. Forte della benedizione vaticana, Calvi allaccia relazioni pericolose con Michele Sindona e il giro della Loggia P2, di cui è affiliato. Giacomo Botta, dirigente del settore esteso del Banco Ambrosiano racconterà ai magistrati: «Già nel 1977-1978, quando divenni consigliere [del Banco ambrosiano di Managua], Calvi mi disse che il gruppo che controllava il pacchetto di controllo dell’Ambrosiano era lo Ior, che deteneva all’estero una consistente partecipazione del Banco. Seppi anche che le società che a quell’epoca l’Ambrosiano di Managua finanziava erano del Vaticano. Calvi probabilmente intendeva mettermi al corrente di questi segreti che lui tutelava gelosamente e intendeva altresì giustificare i finanziamenti, dicendo che erano imposti dal Vaticano, che era in sostanza il padrone del Banco ambrosiano». Panama, Bahamas, Lima, Managua. Arriva da lì il tesoro per sostenere Solidarnosc. Roberto Calvi fugge all’estero, braccato dai creditori. Finirà la sua corsa il 17 giugno 1982 sotto un ponte di Londra, appeso a una corda con dei mattoni nelle tasche. Solo pochi giorni prima scriverà una lettera drammatica, indirizzata a sua santità Giovanni Paolo II. Una lettera che fotografa un pezzo importante di storia italiana e ci dice anche che Wojtyla non poteva non sapere.
LA P2 E I SOLDI DELLA MAFIA
Anche la Loggia P2 approvava i finanziamenti «anticomunisti» al sindacato polacco. Ricorda Licio Gelli: «Nel settembre 1980 Calvi mi confidò di essere preoccupato perché doveva pagare una somma di 80 milioni di dollari al movimento sindacale polacco Solidarnosc, e aveva solo una settimana di tempo per versare il denaro». Perfino la mafia sarebbe coinvolta nel progetto del papa di fare a pezzi il blocco comunista. Dagli atti giudiziari del processo Calvi emerge infatti che nella lotta al comunismo sarebbero stati investiti anche soldi frutto delle speculazioni edilizie della mafia in Sardegna. Il pm Luca Tescaroli – intervistato da Pinotti e Galeazzi – ha maturato nel corso degli anni una conoscenza unica del complesso mondo delle finanze vaticane e dei rapporti malati che in quegli anni il papato non disdegnò di intrattenere. Tescaroli è stato il primo magistrato che, con il suo lavoro, è riuscito a evidenziare come la banca di riferimento del Vaticano, strettamente legata allo Ior, fosse divenuta negli anni Settanta e Ottanta strumento del riciclaggio di denaro mafioso. Soldi utilizzati dal papato per contrastare il comunismo nell’Est europeo e in America Latina. Nel libro il pm ha raccontato aspetti inediti in merito: «Roberto Calvi, nel subentrare a Michele Sindona, risultò svolgere una funzione di volano tra i vecchi e i nuovi equilibri strategici avvicendatisi in seno a Cosa nostra, a seguito della cosiddetta ultima guerra di mafia. Se Calvi avesse messo in atto il manifestato proposito di riferire quanto a sua conoscenza, avrebbe svelato il canale di alimentazione del Banco ambrosiano, rappresentato dalle risorse finanziarie provenienti da Cosa nostra, e la destinazione dei flussi di quel denaro, ivi compresa quella del finanziamento del sindacato Solidarnosc (di cui ha parlato Salvatore Lanzalaco), e ai regimi totalitari sudamericani (ai quali fece espresso riferimento Calvi in alcune lettere dallo stesso sottoscritte). Finanziamento attuato nell’interesse di una più ampia strategia del Vaticano, volta a penetrare nei paesi comunisti dell’Est europeo e a congelare l’avanzata comunista nell’America Latina. Cosa nostra e, certamente, Calò non potevano accettare che emergesse e venisse rivelata agli inquirenti quella tipologia di attività illecita, volta a far convogliare flussi di denaro mafiosi in quelle direzioni, e l’attività di riciclaggio che attraverso il Banco ambrosiano veniva espletata.»
ALTRO CHE FONDAZIONE DI BENEFICENZA
Pinotti e Galeazzi ricostruiscono anche, sempre sulla base di documento che hanno scelto di pubblicare in appendice al libro, il rapporto segreto che legava papa Wojtyla al vescovo 007 monsignor Pavel Hnilica. Una figura leggendaria, al punto che nel 1951 dovette fuggire a Roma, dove negli anni 60 fondò la misteriosa Fondazione Pro Fratribus, dedita all’assistenza dei profughi dell’Est ma in realtà strumento per convogliare aiuti alla resistenza anticomunista in tutta l’Europa orientale. Pinotti e Galeazzi pubblicano scannerizzati tutti gli assegni della Pro Fratribus, che documentano il vorticoso giro di denaro messo in piedi dal vescovo 007 amico di Wojtyla sin dal dopoguerra. Gli autori pubblicano poi l’assegno da 1,5 miliardi con il quale Hnilica – certamente con il consenso di Wojtyla – cerca di comprare da Flavio Carboni la valigetta di Calvi contenente i documenti con cui intendeva ricattare il Papa. Un assegno non onorato dallo Ior solo per l’intervento del cardinale Casaroli. Ma l’appoggio del Papa al discusso padre Hnilica, condannato per ricettazione insieme a Carboni e al falsario Giulio Lena (se la caveranno solo nei successivi gradi di giudizio) è acclarato, come testimonia la missione affidata da Wojtyla a Hnilica di una messa segreta a Mosca nel 1984 che consacrasse la Russia al cuore immacolato di Maria.
UNA DECISIONE POLITICA
Nell’inchiesta di Pinotti e Galeazzi sono raccontati con dovizia di particolari molti altri capitoli oscuri, come la copertura offerta al movimento dei Legionari di Cristo, guidato Marcial Maciel, così come l’appoggio indiscriminato a lobby di potere come Opus Dei, Cl, Focolarini, Neocatecumenali. Movimenti integralisti che sono ormai vere e proprie «chiese nella chiesa». Per tutte queste ragioni Pinotti e Galeazzi ritengono inopportuna la beatificazione lampo di Wojtyla ed ancor più rischiosa la probabile canonizzazione, come sostenuto da un altro documento pubblicato in appendice: la testimonianza prodotta dal teologo Giovanni Franzoni al processo di beatificazione. Un documento nel quale il coraggioso sacerdote esplicita le ragioni per le quali Wojtyla non può e non deve diventare santo. Così Franzoni: “E’ mio dovere elencare i gravi dubbi che non si possono tacere. Mi rendo conto che alcune mie affermazioni sembreranno inaudite. L’ansia con cui molti ambienti lavorano alla beatificazione ha poco di evangelico. Chiedo che Wojtyla sia lasciato al giudizio della Storia”.