Mille persone al teatro delle Celebrazioni a Bologna (stasera e domani la replica) per un racconto a due voci di un'Italia com'era e come è diventata
Di “lui”, ovviamente, si parla. Del Cavaliere, unto del signore, in odor di santità. Quel “finalmente” liberatorio pronunciato pure da Indro Montanelli, all’indomani della caduta del primo governo B., grido troppo brevemente assaporato. E’ un’alternarsi di voci il nuovo spettacolo di Marco Travaglio, “Anestesia totale”, che ha debuttato ieri sera al Teatro delle Celebrazioni di Bologna. Alla sua fa contrappunto quella di una quasi ieratica Isabella Ferrari, che intona chiaro di fronte a un leggio, come fosse una sorta di vangelo laico, le parole del maestro Montanelli.
Su libertà, giornalismo, ribellione ad ogni tentativo di guinzaglio da parte dell’editore-padrone al quale nel 1994 sbattè la porta, lasciando il suo Giornale e fondandone uno nuovo, La Voce. Una scenografia ridotta all’osso, fatta di un’edicola un po’ retrò, a metà tra la Rive Gauche parigina e un’Italia post boom economico, una panchina di legno, poche note di violino, suoni distorti, diluiti, rumori di carta strappata, rimbombi ossessivi: questo il fondale che ospita il passaggio di testimone da un protagonista all’altro del palco.
Protagonista è l’ondeggiare disinvolto di un’informazione serva, il trasformismo, la “par condicio tra verità e menzogna” che tutto consente, anche di smentire se stessi (il campionario di esempi di B. è noto), di stravolgere i fatti, di plasmare un nuovo linguaggio, l’importante è che sia asservito al Potere che tutto fagocita, e alle necessità di questa sorta di “Truman Show” nel quale la nostra nazione annaspa senza riuscire a sollevare il capo. Tutto è lecito in questa specie di teatro dell’assurdo dove le comparse si chiamano Berlusconi, certo, ma anche Gianni Letta, Bruno Vespa, Daniela Santanchè, Sandro Bondi, Giuliano Ferrara, Gianni Riotta, solo per citarne alcuni. Tutti ritratti da Travaglio come comparse in quella che che è la nostra realtà politica, civile, sociale, ai tempi del berlusconismo, certo, ma anche nelle parentesi di centrosinistra. Basta seguire alla lettera le “lezioni” che snocciola la voce di Isabella Ferrari, consigli utili a costruire la roccaforte del potere e del consenso, quella che difficilmente verrà smantellata, anche senza di “lui”, perché comoda culla pure a chi comanderà “dopo”. Basta far saltare i fatti, la verità, il senso, la logica, l’informazione.
Il pubblico ride, esplode in applausi quando Travaglio usa l’arma dell’ironia, resta concentrato e assorto nei passaggi più evocativi, soprattutto quando la voce (vera) di Montanelli fa capolino col suo rigoroso piglio di toscano indomito. Che ricorda una destra (e una sinistra) che non esistono più, in cui è impossibile riconoscersi (“Sono un cornuto della destra . Ho sposato una moglie puttana”). Perché nel paese del “così fan tutti” non c’è contrapposizione ideologica che tenga, ma solo il grottesco (per gli altri, evidentemente non per noi) tentativo di difesa, il rimpallo dei burattini della politica tra chi è ladro e chi lo è di più, tra chi è disonesto e chi non può, d’altro canto, scagliare la prima pietra.
Come salvarsi da questo virus, come difendersi da questo lento bollire in pentola come rane, senza accorgersi dell’ustione che devasta? Se la forza di B., la sua forza economica, mediatica, sono tali da consentirgli di agire come novello e guascone cittadino al di sopra di ogni sospetto, confessando candidamente i propri peccati nella certezza della totale assoluzione morale (chè a quella giudiziaria ci pensano le leggi confezionate ad hoc), quali vie restano?
Resta la via della verità, la forza di un giornalismo che incalzi il potere, lo stani, semplicemente lo racconti. Con una buona dose di coraggio, che ha un prezzo, certo, ma pure la certezza di una finale, riconquistata, libertà. Il giornalista Travaglio si carica sulle spalle una grossa responsabilità. Il pubblico, soddisfatto, lo premia con un teatro gremito, mai come da anni si vedeva al teatro delle Celebrazioni, e un lungo applauso. La speranza di un risveglio, forse, esiste, e resiste.
di Luciana Apicella