Il sindaco ha firmato il mandato a perseguire in sede civile il gruppo Oviesse, reo di aver tenuto aperto una domenica di troppo. In campagna elettorale, invece, tutto è valido, anche sollevare le serrande durante la festa dei lavoratori
Da una parte la battaglia ideologica di Letizia Moratti sull’apertura dei negozi domenica Primo Maggio, dall’altra multe e cause contro i negozianti che hanno tenuto aperto qualche domenica di troppo durante il resto dell’anno. La Milano pre-elettorale riserva anche di questi scherzi mentre a tenere aperto nel giorno delle polemiche sono state solo le vetrine dei marchi di lusso e le grandi catene della distribuzione del centro. Nel resto di Milano saracinesche rigorosamente chiuse.
Ma la querelle sui negozi aperti porta sotto i riflettori alcune scelte ambigue dell’amministrazione Moratti su questo fronte. Un documento rintracciato da Il FattoQuotitidiano rivela che solo un mese prima della festa dei lavoratori il sindaco di Milano Letizia Moratti ha firmato di suo pugno il mandato a perseguire in sede civile il gruppo Oviesse Spa, reo di aver tenuto aperte le saracinesche una domenica di troppo “violando il calendario di deroghe all’obbligo di chiusura domenicale e festiva degli esercizi di vendita al dettaglio nel territorio del Comune di Milano”. Da quanto si apprende, Oviesse si è costituita in giudizio davanti al Tar lombardo e il Comune ha risposto per le rime, costituendosi a sua volta a cura dell’avvocatura comunale.
Solo un mese dopo esplode la polemica intorno all’apertura dei negozi proprio di domenica e per giunta durante la festa dei lavoratori, con il sindaco che firma le deroghe e si dichiara “meravigliata” delle polemiche, facendone un discorso di “libertà” e puntando il dito contro la levata di scudi dei sindacati che hanno dichiarato lo sciopero e dello schieramento politico opposto che sostiene il candidato-avversario Giuliano Pisapia: “Se questa è la libertà della sinistra – ha accusato la Moratti – credo che non siamo messi bene in questa città”. Sullo sfondo, la giustificazione della crisi economica.
Ora, grazie al documento rintracciato da Il Fatto, emerge che le cose non stanno proprio così. E che i soggetti imprenditoriali che hanno messo in pratica il principio “liberale” delle aperture senza regole sono stati poi perseguiti dallo stesso Comune di Milano su mandato (firmato) del suo sindaco.
Ma allora come funziona il giochino? Come una giungla di divieti e deroghe. Dagli atti della causa in corso e dal regolamento comunale si evince una complessa regolamentazione. Alla base di tutto c’è quella stabilita da Regione Lombardia nel 2007 (legge regionale n. 30/07 art.5 bis) che disciplina quante e quali deroghe possano essere concesse nel corso dell’anno solare e stabilisce gli ambiti territoriali e le tipologie di attività regolamentate. L’art. 9 consente agli esercizi commerciali fino a 250 mq (definiti “di vicinato”) ovunque ubicati di poter derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva ad eccezione di una serie di giornate (1° gennaio, Pasqua, 25 aprile, 10 maggio, 15 agosto, 25 dicembre pomeriggio. Il comma 5 della stessa legge permette a tutti gli altri esercizi commerciali ubicati fuori dal centro storico di seguire gli stessi obblighi ma di poter rimanere aperti la prima domenica dei mesi da gennaio a novembre, nell’ultima domenica dei mesi di maggio o agosto o novembre. Infine il comma 7 stabilisce che nei capoluoghi di provincia, gli esercizi diversi da quelli di vicinato ubicati fuori dal centro storico possano rimanere aperti per un massimo di ulteriori 10 giornate individuate dal Comune in accordo con le organizzazioni rappresentative dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori dipendenti del comparto commerciale.
Eppure questa “consultazione delle parti” non è mai avvenuta. Ecco spiegata la reazione dei sindacati e la “meraviglia” dichiarata dalla Moratti di fronte alla loro reazione. A rendere più leggero il clima ci hanno pensato ancora una volta i giovani con un blitz in un supermercato di viale Monza e inneggiando a San Precario. Iniziativa goliardica e non violenta per sottolineare la costrizione dei dipendenti a lavorare e rinunciare al loro giorno di festa.
di Thomas Mackinson