(Parentesi per chi afferma che ciò non è accaduto: spiegatemi allora perché Al Qaeda ha annunciato, in un comunicato stampa, che il loro leader è morto)
Quel video è, di fatto, uno spot di campagna elettorale. Non credo si possa arrivare alla conclusione che tutto (tempi, modi, comunicazione dell’evento) sia stato immaginato per favorire Obama, dubito che la Cia si presti a tutto questo, ma di sicuro le occasioni che si sono presentate hanno messo i principali collaboratori del presidente nelle condizioni di trarre il massimo beneficio possibile in vista delle elezioni oramai prossime.
La rielezione di Obama, in realtà, non è mai parsa in discussione a causa di un problema non banale: l’assenza dell’avversario. L’attivismo caciarone ma efficace dei Tea Party ben si presta a una battaglia d’opposizione, ma appare poco adatto a costruire un progetto politico, una visione. Inoltre rappresenta le istanze di una parte dell’elettorato conservatore, quello più radicale, e quel modo di fare politica potrebbe, alla lunga, spaventare i moderati che, in parte, hanno già votato per Obama nel 2008.
Nessuno dei nomi che sono stati annunciati in questi due anni pare abbastanza autorevole o comunque capace di mettere tutti d’accordo. Obama sa bene che gran parte del suo successo dipenderà dalla debolezza dell’avversario e proprio per questo sta provvedendo a mettere in ridicolo tutti i suoi sfidanti potenziali. Il recente capolavoro durante l’evento con i corrispondenti di stampa estera, in cui ha preso in giro la disperata ricerca di delegittimazione nei confronti della sua “americanità” da parte di Donald Trump mostrando un video del Re Leone a chiusura di una partita vinta dallo stesso Obama grazie alla pubblicazione dell’atto di nascita (qui c’è il video integrale, che vi suggerisco vivamente di vedere), dimostra il controllo della situazione da parte del presidente.
Obama non ha però intenzione di limitarsi a giocare di rimessa e può rivendicare già tre enormi risultati, due dei quali sono già stati consegnati alla storia e saranno dunque portati all’attenzione dell’elettorato che non potrà che constatare i meriti di questa amministrazione.
Prima di tutto, Obama ha preso le decisioni necessarie a eliminare Bin Laden. Il suo precedessore repubblicano, George W. Bush, non ci era riuscito in 7 anni di tentativi e di guerre in Iraq e Afghanistan. Lui, democratico e Premio Nobel per la Pace, ci è riuscito in soli tre anni. Andando volutamente per slogan (vedremo quanto saranno diversi da quelli di campagna elettorale), “il pacifista Obama ha saputo far meglio del guerrafondaio Bush nella lotta al terrorismo” e questo, di per sè, è un elemento che trasmetterà un profondo senso di sicurezza agli americani.
In secondo luogo Obama ha salvato il capitalismo dall’implosione. Non entro nel merito delle medicine, delle cure e delle soluzioni, così come non sono entrato nel merito del suo Premio Nobel. Il sistema però si è retto in piedi e gli Stati Uniti, pur avendo affrontato una crisi economica spaventosa da cui non sono ancora del tutto usciti, sono ripartiti su livelli di crescita paragonabili a quelli della Germania. “Obama ha salvato l’economia mondiale”: altro slogan ultrasemplificato ma ottimo per la campagna.
Messi a posto i pilastri, Obama può addirittura permettersi il lusso di fare la vittima per la terza partita, quella più importante dal punto di vista sostanziale ma anche quella più difficile da difendere: la riforma sanitaria. Ogni atteggiamento vessatorio e vendicativo da parte dei Repubblicani in Parlamento (perso dai Democratici dopo le elezioni di medio termine) potrà essere un pretesto per accusare la destra di fare campagna elettorale sulla pelle della povera gente. Obama così rinsalderà ulteriormente il legame emotivo con la classe media e povera.
Dove non arriva un sogno, la novità, le promesse talvolta non mantenute, arriveranno poche solide certezze, il ritorno all’orgoglio nazionale, un miliardo di dollari da spendere per la campagna elettorale e un leader, Barack Obama, ancora giovane e ancora capace di far sognare tutti (stanotte i festeggiamenti degli americani sono stati accompagnati da numerosi cori che intonavano uno Yes we can che oramai sembrava appannato) e di prendere per mano il Paese.
Anche grazie a quella prima persona singolare.