Caltanissetta, 14 gen. (Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - L'ex Procuratore nazionale antimafia ed ex Presidente del Senato Pietro Grasso, ma anche l'ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l'ex Capo della Polizia, Prefetto Gianni De Gennaro. Sfilata di testi eccellenti nel processo per depistaggio che si è aperto questa mattina davanti al Tribunale di Caltanissetta. Alla sbarra due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini, oggi 83 anni, e Alberto Tersigni, oggi 63 anni, entrambi accusati di depistaggio. Per la Procura, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali, oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l'accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci. Alla sbarra anche l'ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
L'udienza è iniziata con una breve sospensione perché la difesa degli imputati ha presentato delle eccezioni. I legali dei due generali hanno detto che quando Pellegrini e Tersigni sono stati sentiti per la prima volta dagli inquirenti, avrebbero dovuto essere sentiti "in veste di indagati". Quindi, i verbali avrebbero dovuto essere interrotti. Ma il pm Pacifico non si è detto d'accordo. Alla fine, dopo una breve Camera di consiglio, il Presidente del Tribunale Francesco D'Arrigo, ha ripreso l'udienza respingendo le eccezioni dei legali.
Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, poi arrestato con l'accusa di essere legato ai clan mafiosi. Secondo i pm i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all'epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all'ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l'altro favorendo la latitanza del boss corleonese. Dal capo d'accusa della procura di Caltanissetta sottoscritto dal sostituto procuratore Pasquale Pacifico e dai magistrati Domenico Gozzo e Salvatore Dolce della procura nazionale antimafia, emerge che gli ex generali Pellegrini e Tersigni erano stati intercettati in vista della loro audizione come testimoni al processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia. Secondo l'accusa, avrebbero concordato cosa riferire. Secondo l'avvocato Basilio Milio, che con l'avvocato Giuseppe Piazza difende il generale Tersigni, hanno "semplicemente dialogato per ricordarsi a vicenda i fatti di venti anni fa". Angiolo Pellegrini è difeso dagli avvocati Rocco Licastro e Oriana Limuti, mentre l'imputato Peluso dall'avvocato Boris Pastorello.
Lunga la lista testi. Emergono i nomi dell'ex Presidente del Senato ed ex Procuratore di Palermo, Pietro Grasso, ma anche di ex ufficiali della Dia di Caltanissetta, ex carabinieri del Ros di Caltanissetta. Oltre alla ex dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta, Marzia Giustolisi, citata anche dall'accusa. L'audizione dell'ex Procuratore di Palermo ed ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso è stata chiesta dalla difesa "per riferire sull'impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Bernardo Provenzano in merito alla segnalazione, fatta dall'allora colonnello Pellegrini, nel gennaio 2001, di propositi criminosi concepiti da appartenenti a Cosa nostra e da compiersi nel territorio siciliano, alle attività conseguenti, ai relativi esiti, alla nota a sua firma del 29 gennaio 2001, nonché su ogni altra circostanza pertinente all'oggetto della imputazione e utile all'accertamento della verità".
La difesa chiede anche l'audizione dei magistrati Michele Prestipino e Giuseppe Pignatone, ex Procuratore di Roma, "entrambi per riferire sull'impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Provenzano, sulla conoscenza del maggiore Tersigni e del colonnello Pellegrini e sulle interlocuzioni avute con i predetti, sulla conoscenza professionale di Pietro Riggio e Giovanni Peluso, su eventuali condotte contrarie ai doveri di ufficio e poste in essere dagli imputati e da altri soggetti nello svolgimento dell'attività di Polizia giudiziaria nonché su ogni altra circostanza pertinente all'oggetto della imputazione e utile all'accertamento della verità". In lista testi altri generali e ufficiali, come il generale Carlo Alfiero, il generale Antonio Tomaselli, il colonnello Ignazio Lizio Bruno. Oltre al generale Paolo Azzarone "sugli accertamenti effettuati e sulle attività svolte a seguito delle informazioni fornite da Pietro Riggio asseritamente apprese da Giovanni Peluso". E pi diversi magistrati, come il Pm Maurizio Bonaccorso, Stefano Luciani, il Procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, l'ex Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli.
Il prossimo 11 febbraio, quando si terrà la seconda udienza del processo a carico di due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio, verrà sentito il collaboratore di giustizia Pietro Riggio. Nel novembre 2019, al processo Capaci bis, a Caltanissetta, il collaboratore nisseno, aveva riferito, tra le altre cose, quanto apprese da Giovanni Peluso nel 2000, altro imputato, sulla "volontà di Cosa nostra di eliminare il giudice Leonardo Guarnotta", ex membro del pool antimafia di Antonino Caponnetto e all'epoca presidente della corte che stava giudicando il fondatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri per concorso esterno a Cosa nostra.
"Giovanni Peluso - aveva detto Riggio in aula rispondendo alle domande dell'avvocato Salvatore Petronio - voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l'esigenza di rifugiarsi dopo l'attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull'abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell'attentato al colonnello della Dia". Sul punto però rispetto al verbale reso ai pubblici ministeri, Riggio aveva cambiato un po' le sue dichiarazioni. Ai magistrati aveva detto: "Peluso mi disse che la 'nostra organizzazione' aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un 'palazzo', ritengo fosse quello dove abitava il magistrato".
Sempre in quella udienza, del 2019, Riggio aveva anche riferito che un ex poliziotto avrebbe messo l'esplosivo sotto l'autostrada per preparare la strage di Capaci del 23 maggio 1992 in cui furono uccisi il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. L'uomo collabora con la magistratura da più di 14 anni. Alla domanda de perché fino a quel momento non avesse mai parlato della strage di Capaci, Riggio replicò, collegato in videoconferenza: "Non ho parlato prima della strage di Capaci perché, purtroppo, ho avuto modo di conoscere il sistema dall'interno e se io ne avessi parlato prima oggi sarei un uomo morto...". Riggio sarà risentito l'11 febbraio e nell'udienza successiva.
Federico Pontiggia
Giornalista e scrittore
Cinema - 2 Maggio 2011
Le “donne verticali” di Isabella Ragonese
“Ieri c’era rispetto, oggi chi fa cultura è visto come un parassita”. 1953: Nena deve lasciare famiglia povera e fidanzato abbiente (e colto) e trasferirsi in un paesino della Puglia per assumere il suo primo incarico di maestra di scuola. Ad accoglierla, è una realtà ostile: contadini, quasi arcaici, con cui Nena nulla sembra condividere. Ma non molla: si scontrerà con quei luoghi selvaggi, dando prova di un carattere fuori dal comune e finendo per ripensare la propria vita in modo radicale.
Prodotto da BiancaFilm in collaborazione con Rai Cinema, passato all’ultima Mostra di Venezia nella sezione Controcampo, Il primo incarico segna l’esordio alla regia di Giorgia Cecere (già sceneggiatrice di Sangue vivo e Il miracolo di Edoardo Winspeare) e, grazie alla distribuzione di Teodora Film e Spazio Cinema, arriva in sala il 6 maggio. Protagonista è Isabella Ragonese, uno dei volti più interessanti del giovane cinema italiano, che dopo, tra gli altri, Tutta la vita davanti di Virzì e La nostra vita di Luchetti non si smentisce: intensa, sofferta e volitiva, dà a Nena “fierezza e orgoglio: è una mosca bianca, ha studiato da privatista e non si lamenta mai della sua condizione. Condivisibilmente, la regista ha scelto gli anni ’50 per una affresco in prospettiva, lontano dal nostro eterno presente: una prospettiva pittorica, per guardare da lontano e vedere meglio l’oggi”.
A partire, dice la Ragonese, dal “valore della cultura: ha studiato tutta la vita Nena, e nella realtà contadina si meritava rispetto. Al contrario, come mi accadeva in Tutta la vita davanti, oggi una laureata può sembrare strana, se non negativa, perché chi fa cultura è visto come un parassita. Nena incarna la forza dell’insegnamento, oggi svilita, e non sta col fidanzato perché ricco, ma perché una volta l’alta borghesia era sinonimo di case zeppe di libri, dischi, cultura: oggi non è più così”.
Ma il focus su Nena è funzionale: “Attraverso le mie prove, mi sento di dire la mia sulle donne, non perché non esistano altri problemi, bensì credo questa attenzione sia una leva per parlare d’altro, dalla maternità al lavoro. Inforcare questi occhiali al femminile e leggere meglio le cose, perché la sensazione di dover sempre scendere in piazza è frustrante”, aggiunge la Ragonese, che a febbraio salì sul palco a Roma per la manifestazione Se non ora quando, dove “a sostenerci vennero anche tanti uomini”.
E allora come la mettiamo con le “donne orizzontali” di cui qualcuno ha parlato? “Provo sempre disagio di fronte a questa rappresentazione che pare unica, perché al contrario ci sono tantissime donne in gamba, che tirano la carretta: si direbbero minoranza, ma sono la maggioranza quelle che non prendono le scorciatoie”. Ma qual è lo stato dell’arte rosa in Italia? “Sono in tante a studiare, ma con scarsi risultati: per esempio, ci sono molte giornaliste, ma quante direttrici di giornali? Non l’ho detto io che la condizione femminile è cartina di tornasole per lo stato di salute della democrazia: certo, la società anni ’50 era maschilista, ma oggi il sessismo è più subdolo, meno evidente. Allora se sceglievi la tua strada era quella, pur con fatica, ma oggi, che il lavoro un giorno ce l’hai e l’altro no?”.
Forse, il segreto è diversificare: prima di prendersi una pausa per tornare al suo primo amore, il teatro, Isabella Ragonese tornerà sul grande schermo in ottobre con Fabio Volo ne Il giorno in più: “L’alternanza mi sembra la scelta più giusta e onesta: proporre cose diverse, senza giudicare, perché in Italia si parla sempre di cinema in crisi ma la varietà c’è, basta mettersi in gioco. Il giorno in più è tratto dal libro di successo di Fabio: una commedia romantica, che vuole essere un po’ come quelle americane per cui ci entusiasmiamo”.
Nel frattempo, è un tris d’assi quello che Isabella ha applaudito in sala: “Sorelle mai di Bellocchio, poi ho pianto tantissimo per In un mondo migliore di Susanne Bier: da ex filosofa, mi piace si tocchino temi così alti quale violenza ed educazione: il cinema non può cambiare il mondo, ma le coscienze. Infine, Habemus Papam: classe assoluta e capacità di ridere, una commedia divertente e commovente. Moretti smuove e fa discutere: sempre”.
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Roma, 14 gen. (Adnkronos) - Con 159 voti contrari, 121 favorevoli e 4 astenuti la Camera ha respinto la pregiudiziale di costituzionalità, presentata da Alleanza Verdi e Sinistra, al decreto legge contenente misure organizzative urgenti per fronteggiare situazioni di particolare emergenza, nonché per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il provvedimento prevede, tra l'altro, la predisposizione, affidata al Commissario straordinario di Caivano, di un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di progetti di riqualificazione sociale di sei Comuni e aree metropolitane ad alta vulnerabilità sociale; azioni per far fronte all'emergenza idrica in Sicilia; il trasferimento alla Autorità per la laguna di Venezia–Nuovo magistrato alle acque i compiti, le funzioni e le risorse finanziarie del Commissario straordinario Mose che cessa dalle proprie funzioni; una disposizione di interpretazione autentica per garantire lo svolgimento delle elezioni degli enti pubblici con natura di federazione sportiva come Aci, AeCI e Unione italiana tiro a segno.
Milano, 14 gen. (Adnkronos) - Il tribunale di Busto Arsizio (Varese) ha condannato, al termine del processo con rito abbreviato, a due anni e sei mesi, e una provvisionale a favore dell'Inps di 15 mila euro, Riccardo Bossi, primogenito del fondatore della Lega Umberto, imputato per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. La procura contestava di aver percepito 280 euro ogni mese per 43 mensilità per un ammontare complessivo di oltre 12mila euro dal 2020 al 2023.
Roma, 14 gen. (Adnkronos) - "Scompare con Pellegrino Capaldo una figura centrale della prima Repubblica, lontano dai riflettori, che scansava accuratamente, ma dentro gli equilibri più delicati dei rapporti tra potere economico e politico, con un rapporto privilegiato con la Chiesa (godeva della stima incondizionata di tutti i Pontefici del secolo breve). Ai germani e a tutta la sua grande famiglia vadano i sensi del più profondo mio e della Democrazia cristiana". Così Gianfranco Rotondi, presidente della Dc.
Caltanissetta, 14 gen. (Adnkronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - L'ex Procuratore nazionale antimafia ed ex Presidente del Senato Pietro Grasso, ma anche l'ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l'ex Capo della Polizia, Prefetto Gianni De Gennaro. Sfilata di testi eccellenti nel processo per depistaggio che si è aperto questa mattina davanti al Tribunale di Caltanissetta. Alla sbarra due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini, oggi 83 anni, e Alberto Tersigni, oggi 63 anni, entrambi accusati di depistaggio. Per la Procura, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali, oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l'accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci. Alla sbarra anche l'ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
L'udienza è iniziata con una breve sospensione perché la difesa degli imputati ha presentato delle eccezioni. I legali dei due generali hanno detto che quando Pellegrini e Tersigni sono stati sentiti per la prima volta dagli inquirenti, avrebbero dovuto essere sentiti "in veste di indagati". Quindi, i verbali avrebbero dovuto essere interrotti. Ma il pm Pacifico non si è detto d'accordo. Alla fine, dopo una breve Camera di consiglio, il Presidente del Tribunale Francesco D'Arrigo, ha ripreso l'udienza respingendo le eccezioni dei legali.
Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, poi arrestato con l'accusa di essere legato ai clan mafiosi. Secondo i pm i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all'epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all'ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l'altro favorendo la latitanza del boss corleonese. Dal capo d'accusa della procura di Caltanissetta sottoscritto dal sostituto procuratore Pasquale Pacifico e dai magistrati Domenico Gozzo e Salvatore Dolce della procura nazionale antimafia, emerge che gli ex generali Pellegrini e Tersigni erano stati intercettati in vista della loro audizione come testimoni al processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia. Secondo l'accusa, avrebbero concordato cosa riferire. Secondo l'avvocato Basilio Milio, che con l'avvocato Giuseppe Piazza difende il generale Tersigni, hanno "semplicemente dialogato per ricordarsi a vicenda i fatti di venti anni fa". Angiolo Pellegrini è difeso dagli avvocati Rocco Licastro e Oriana Limuti, mentre l'imputato Peluso dall'avvocato Boris Pastorello.
Lunga la lista testi. Emergono i nomi dell'ex Presidente del Senato ed ex Procuratore di Palermo, Pietro Grasso, ma anche di ex ufficiali della Dia di Caltanissetta, ex carabinieri del Ros di Caltanissetta. Oltre alla ex dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta, Marzia Giustolisi, citata anche dall'accusa. L'audizione dell'ex Procuratore di Palermo ed ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso è stata chiesta dalla difesa "per riferire sull'impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Bernardo Provenzano in merito alla segnalazione, fatta dall'allora colonnello Pellegrini, nel gennaio 2001, di propositi criminosi concepiti da appartenenti a Cosa nostra e da compiersi nel territorio siciliano, alle attività conseguenti, ai relativi esiti, alla nota a sua firma del 29 gennaio 2001, nonché su ogni altra circostanza pertinente all'oggetto della imputazione e utile all'accertamento della verità".
La difesa chiede anche l'audizione dei magistrati Michele Prestipino e Giuseppe Pignatone, ex Procuratore di Roma, "entrambi per riferire sull'impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Provenzano, sulla conoscenza del maggiore Tersigni e del colonnello Pellegrini e sulle interlocuzioni avute con i predetti, sulla conoscenza professionale di Pietro Riggio e Giovanni Peluso, su eventuali condotte contrarie ai doveri di ufficio e poste in essere dagli imputati e da altri soggetti nello svolgimento dell'attività di Polizia giudiziaria nonché su ogni altra circostanza pertinente all'oggetto della imputazione e utile all'accertamento della verità". In lista testi altri generali e ufficiali, come il generale Carlo Alfiero, il generale Antonio Tomaselli, il colonnello Ignazio Lizio Bruno. Oltre al generale Paolo Azzarone "sugli accertamenti effettuati e sulle attività svolte a seguito delle informazioni fornite da Pietro Riggio asseritamente apprese da Giovanni Peluso". E pi diversi magistrati, come il Pm Maurizio Bonaccorso, Stefano Luciani, il Procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, l'ex Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli.
Il prossimo 11 febbraio, quando si terrà la seconda udienza del processo a carico di due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio, verrà sentito il collaboratore di giustizia Pietro Riggio. Nel novembre 2019, al processo Capaci bis, a Caltanissetta, il collaboratore nisseno, aveva riferito, tra le altre cose, quanto apprese da Giovanni Peluso nel 2000, altro imputato, sulla "volontà di Cosa nostra di eliminare il giudice Leonardo Guarnotta", ex membro del pool antimafia di Antonino Caponnetto e all'epoca presidente della corte che stava giudicando il fondatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri per concorso esterno a Cosa nostra.
"Giovanni Peluso - aveva detto Riggio in aula rispondendo alle domande dell'avvocato Salvatore Petronio - voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l'esigenza di rifugiarsi dopo l'attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull'abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell'attentato al colonnello della Dia". Sul punto però rispetto al verbale reso ai pubblici ministeri, Riggio aveva cambiato un po' le sue dichiarazioni. Ai magistrati aveva detto: "Peluso mi disse che la 'nostra organizzazione' aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un 'palazzo', ritengo fosse quello dove abitava il magistrato".
Sempre in quella udienza, del 2019, Riggio aveva anche riferito che un ex poliziotto avrebbe messo l'esplosivo sotto l'autostrada per preparare la strage di Capaci del 23 maggio 1992 in cui furono uccisi il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. L'uomo collabora con la magistratura da più di 14 anni. Alla domanda de perché fino a quel momento non avesse mai parlato della strage di Capaci, Riggio replicò, collegato in videoconferenza: "Non ho parlato prima della strage di Capaci perché, purtroppo, ho avuto modo di conoscere il sistema dall'interno e se io ne avessi parlato prima oggi sarei un uomo morto...". Riggio sarà risentito l'11 febbraio e nell'udienza successiva.
Tel Aviv, 14 ge. (Adnkronos) - Le famiglie degli ostaggi hanno appreso la possibilità che un accordo potrebbe essere firmato "entro poche ore" nel corso di un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Secondo le famiglie, l'accordo comprenderà tre fasi e si oppongono all'attesa fino al 16° giorno. Nel corso dell'incontro, Netanyahu si è impegnato a riportare a casa tutti gli ostaggi. Tuttavia, le famiglie hanno sottolineato che "le parole non bastano".
All'incontro non hanno partecipato i parenti degli ostaggi deceduti, che hanno protestato per essere stati esclusi. "Siamo in una situazione in cui 33 ostaggi vengono rilasciati (nell'ambito di un possibile accordo), ma non abbiamo chiarezza sulla sorte degli altri", ha affermato Eli Shtivi, padre di Idan Shtivi, assassinato e rapito il 7 ottobre. "Stiamo abbandonando 70 ostaggi. Mi sento abbandonato, e così tutti gli ostaggi e le famiglie lasciate fuori da questa fase del processo. A mio parere, è una vergogna e un'umiliazione".
Roma, 14 gen. (Adnkronos) - "Quello che ha detto Meloni che è proprio inaccettabile è che uno che è il presidente ombra degli Stati deve essere libero di esprimere le proprie opinioni, come se Musk fosse Gianni il grattacheccaro sul Tevere...". Così Carlo Calenda a Tagadà su La7. "Musk dice che il premier della Gran Bretagna deve dimettersi ed essere messo in galera: siamo di fronte a comportamenti eversivi da parte di un esponente dell'amministrazione degli Stati Uniti e noi stiamo andando in ginocchio da Musk".
Roma, 14 gen. (Adnkronos) - "Zaia è un moderato, è una persona con cui interloquire. Salvini no e non capisco come Zaia possa interloquire con Salvini. Sta scoppiando un bubbone dentro la Lega che è forte. In Veneto la Lega prende il 35% dei suoi voti ma sono voti di Zaia e non di Salvini. Si aprirà un problema nel governo". Così Carlo Calenda a Tagadà su La7.