La guardia di finanza si è presentata poco fa ad Alberi di Vigatto, il paese dove si trova la villa di Calisto Tanzi. Torna dunque in prigione, l’imprenditore che è stato protagonista di uno dei buchi più clamorosi della storia finanziaria italiana, dopo il pronunciamento di ieri sera Cassazione che lo ha condannato in via definitiva a 8 anni e 1 mese per il crac esploso a fine 2003. In attesa che il tribunale di sorveglianza risponda all’istanza subito presentata dal suo legale, l’avvocato Giampiero Biancolella, per la concessione dei domiciliari.
Tanzi ha una condanna definitiva per aggiotaggio: lo ha deciso la Cassazione che ha ricalcolato, un po’ al ribasso, l’iniziale condanna di secondo grado a 10 anni di reclusione per portarla ad 8 anni e 1 mese a seguito della prescrizione di alcuni episodi di false informazioni al mercato. Sono stati dichiarati prescritti, per Tanzi, i reati fino al 18 giugno 2003.
Tanzi doveva essere arrestato già da ieri, secondo il codice. In realtà, il legale di Tanzi, l’avvocato Giampiero Biancolella, ha presentato un’istanza al Tribunale di sorveglianza di Milano per chiedere che l’ex patron del gruppo di Collecchio sconti la pena agli arresti domiciliari perché ultra settantenne e con problemi di salute. Dopo la notizia della conferma della condanna l’ex industriale è stato colto da un malore. In serata è stato visitato da un cardiologo.
In più, il difensore ha presentato un’altra istanza alla Procura di Milano per chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena in attesa che si pronunci proprio il Tribunale di sorveglianza.
Il processo a Tanzi riguarda mille milioni di euro andati in fumo nel dicembre 2003 mandando sul lastrico 32 mila risparmiatori. La Cassazione ha infatti sostanzialmente confermato la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano, il 26 maggio 2010, limitandosi a ridurre di 23 mesi l’originaria pena – pari a dieci anni di carcere inflitti sia in primo che in secondo grado – in quanto è maturata la prescrizione per le false informazioni fornite al mercato, sul decotto brand di Collecchio, fino al 18 giugno 2003.
Le associazioni dei consumatori Adusbef e Federconsumatori hanno protestato perché le banche, che pure vendevano quei bond drogati, escono indenni a processo concluso.
Per quanto riguarda gli altri imputati, la Quinta sezione penale della Cassazione – che ha dedicato tre giorni di udienza alla vicenda – ha inoltre ricalcolato, al ribasso, sempre a causa della prescrizione, la condanna per il consigliere indipendente di Parmalat, Luciano Silingardi: aveva 3 anni in appello, ora esce con 1 anno, 2 mesi e 15 giorni con sospensione condizionale della pena. E’ stata, poi, annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, la condanna a 2 anni e 6 mesi per Giovanni Bonici, ex presidente di Parmalat Venezuela.
I supremi giudici hanno anche respinto il ricorso di Bank of America e del suo funzionario Luca Sala che, comunque, era stato già prosciolto. Infine, sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi delle 17 parti civili contro il proscioglimento dei consiglieri indipendenti Paolo Sciumé ed Enrico Barachini. Non ha ricevuto picconate e rimane dunque ‘salvò, il diritto dei 32 mila truffati a ricevere 100 milioni di euro, a titolo di provvisionale, come risarcimento del danno. In primo grado gli era stato negato. Nel corso dei processi i bond-holders sono riusciti ad ottenere circa 90-95 milioni di euro concludendo accordi di transazione con Bank of America.
“L’Italia è il paese di Bengodi per banchieri, bancarottieri e truffatori che a differenza degli Stati Uniti, dove si fanno 150 anni di carcere come Madoff, non pagano quasi mai il conto, con l’unica consolazione – hanno commentato le associazioni dei consumatori – della condanna di Tanzi a risarcire, con Bonici, 105 milioni di euro ai 32 mila risparmiatori costituitisi parte civile”. Secondo Adusbef e Federconsumatori, “l’assoluzione di banche e banchieri, accusando solo Tanzi della truffa del secolo a danno di 170.000 obbligazionisti ed azionisti, senza complicità diffuse a partire dalla Consob e dalle distratte autorità vigilanti, grida vendetta e dovrebbe impegnare governo e Parlamento ad inasprire le pene per chi manda in fumo il sudato risparmio delle famiglie”.
Fino alla fine, Tanzi ha continuato in comportamenti scorretti e furbetti: aveva nascosto, dando i quadri ai parenti, la sua preziosa pinacoteca fino a che la Guardia di Finanza, alla fine del 2009, scoprì l’inganno e l’ex patron dovette riconsegnare la sua collezione per risarcire i truffati.
di Caterina Zanirato