La notizia della morte del leader di Al Qaeda arriva in una fase di confusione nell'esecutivo guidato da Asif Ali Zardari, impegnato a stringere nuove alleanze con i partiti musulmani per garantire l'approvazione dei provvedimenti più urgenti. E il governo non riesce a chiarire il coinvolgimento dei servizi segreti nell'operazione
L’uccisione di Bin Laden è stata un detonatore sulla scena politica pakistana. Ha fatto esplodere tensioni che covavano da tempo, smascherato incertezze e pericolose ambiguità che nelle scorse settimane hanno caratterizzato la vita del partito al governo, il Pakistan People Party. Il partito, detentore della maggioranza relativa, era in cerca di nuove alleanze di governo per rendere più solido l’esecutivo guidato da Asif Ali Zardari, presidente della repubblica e vedovo di Benazir Bhutto.
Proprio mentre le forze speciali americane entravano in azione, il governo pakistano era tutto ripiegato su se stesso, intento a stringere l’ennesimo “matrimonio di convenienza” (così lo definiscono i maggiori commentatori pakistani) per garantirsi la sopravvivenza.
Il “sì” definitivo, annunciato ieri – in una giornata in cui i giochi della politica interna passavano in secondo piano rispetto “all’evento dell’anno” – è stato ratificato oggi, con l’ingresso ufficiale nel governo federale della Pakistan Muslim League-Quaid, formazione politica espressione di ceti alto borghesi, di grandi proprietari terrieri, di élite politiche, economiche e militari. Le origini del partito si devono al generale Pervez Musharraf, poi fuoriuscito per fondare un partito tutto suo, mentre oggi ne fanno parte, fra gli altri, il figlio dell’altro dittatore Zia ul Haq e diversi notabili del Punjab. Il dazio pagato ai nuovi alleati è stato piuttosto alto: ben 7 nuovi ministri federali e 7 vice ministri, mentre altri seggi si preparano nei governi provinciali.
Il Pakistan People Party, tradizionale forza politica di carattere popolare, laico, democratico, è il partito che fu della leader assassinata Benazhir Bhutto e che oggi è guidato oltre che da Zardari, dal premier Yousaf Raza Gilani. Un ticket che sembra molto sbilanciato a favore di Zardari, vero decisore delle strategie politiche.
E’ stato proprio Zardari ad orchestrare la nuova alleanza che ha fatto storcere il naso a molti, per diverse ragioni: i due partiti fino a ieri si sono combattuti – uno al governo, l’altro all’opposizione – a forza di denunce di corruzione, che hanno dato vita a procedimenti legali ancora in corso. Inoltre la “Lega musulmana-Q” non ha esitato ad andare a braccetto con le formazioni islamiche fondamentaliste che nei mesi scorsi hanno creato un’alleanza trasversale “per difendere l’onore del Profeta”. Un rete che ha causato molti grattacapi al governo, stretto fra le pressioni internazionali (sul rispetto dei diritti umani, la lotta all’estremismo, la libertà per le minoranze) e i ricatti sempre più insistenti dei partiti religiosi, ex alleati giunti a condizionarne pesantemente l’azione. Proprio per liberarsi di tale giogo, Zardari ha deciso di stringere un accordo che – hanno spiegato alcuni parlamentari del PPP – sarà confermato per le elezioni generali del 2013.
Il punto è che il PPP potrebbe cadere dalla padella nella brace: appena nata, l’alleanza già scricchiola, con un gruppo di senatori della Lega-Q cha ha deciso di restare sui banchi dell’opposizione, e con gli stessi nuovi ministri già apertamente scontenti per lo scarso rilievo politico delle poltrone ottenute nel governo.
In questo scenario ha fatto irruzione l’uccisione di Bin Laden. E il governo ha dovuto all’improvviso spiegare, goffamente, all’opinione pubblica, che “il Pakistan c’entrava ma non c’entrava nel blitz”. Un’azione solo targata Usa, e del tutto autonoma, avrebbe svelato – secondo il fuoco di fila delle opposizioni – la totale insignificanza politica del governo pakistano sul proprio territorio; d’altro canto, ammettere una piena collaborazione poteva scatenare le reazioni dei settori radicali della società ed esporre le istituzioni a un’ondata di attentati. L’equilibrismo politico dell’esecutivo pakistano ha dato, allora, il meglio di sé anche in questo frangente: incassare il “grazie” della Clinton, specificando che il governo ha sempre agito per tutelare gli interessi nazionali.
Gli stessi interessi chiamati in causa per spiegare al paese la nuova alleanza, necessaria, secondo gli analisti, per far passare una finanziaria pesante e impopolare, prevista a giugno, che scaricherà sulle tasche dei cittadini parte cospicua di costi della ricostruzione del paese dopo le alluvioni dell’agosto 2010. A chiederla è stato il Fondo Monetario Internazionale, come condizione per erogare prestiti e Zardari non poteva dire di no. Bin Laden, in questo frangente, è solo un temporale passeggero che ha rischiato di scompigliare i complicati giochi politici interni.
Sonny Evangelista – Lettera22