Una due giorni per discutere dell'impatto di Twitter e Facebook sulle rivolte che hanno incendiato il Nord Africa. I blogger: "Chiediamo un regime di protezione internazionale per gli attivisti a tutela della libertà di opinione"
“I social network sono come il Grande Fratello. Ma nel caso della rivoluzione in Tunisia e in Egitto, anziché smascherare i dettagli della vita privata di qualcuno, hanno messo a nudo gli scandali e la corruzione del governo. Ma questa è la rivoluzione della gente, non di Facebook o Twitter”. A parlare così è Basel Ramsis, uno degli attivisti che ha partecipato a MediEncounter, il primo meeting dei blogger dei paesi che si affacciano sul mare nostrum. L’incontro è stato organizzato da Casa Mediterràneo, un’organizzazione governativa legata al Ministero degli Esteri spagnolo.
Il 28 e 29 aprile oltre 30 blogger provenienti fra gli altri da Tunisia, Egitto e Medio Oriente, si sono riuniti a Xàbia (Alicante) per discutere dell’impatto delle reti sociali nelle rivolte magrebine.
Da Fatma Riahi al vignettista anonimo ‘Z’, tutti i partecipanti hanno rivendicato le proprie battaglie per la democrazia, ma i cyberattivisti hanno anche ammesso che il cammino verso la libertà è ancora lungo.
Basel ha partecipato alla rivoluzione egiziana da piazza Tahrir, il cuore della protesta. E’ un regista e vive in Spagna dal 1998, ma ha cominciato la sua attività politica nel 1990. Da allora è stato arrestato cinque volte dal governo di Mubarak e sottoposto a tortura per avere militato nel movimento comunista universitario. Su di lui hanno usato cavi elettrodi, è stato picchiato, messo in isolamento e ha subito tentativi di violenza fisica. La detenzione più lunga è durata 45 giorni.
“La rivoluzione egiziana”, spiega, “non è da attribuire a Facebook. E non è né pacifista né ‘giovane’, ma molto più complessa. Tutto è iniziato con la caduta di Ben Ali a Tunisi, un segno che pure per altri paesi le cose potevano cambiare. La morte dei martiri Mohamed Bouazizi, che ha deciso di darsi fuoco in Tunisia, e l’assassinio di Khaled Said per mano delle forze di sicurezza in Egitto sono diventati il simbolo dell’oppressione e la miccia della rivolta”. E la reazione dei giorni successivi è collegata all’idea di vendetta: “In Egitto”, prosegue Basel, “le famiglie di chi viene assassinato non ricevono le condoglianze e non portano il lutto fino a che il delitto non viene vendicato. Ha fatto così la famiglia di Said che aveva ben chiaro chi fossero gli esecutori materiali. Ovvero Mubarak e il suo ministero degli Interni. A loro avevano promesso vendetta politica”.
La Rete ha svolto un ruolo chiave nella mobilitazione dal 25 al 27 di gennaio, giorno in cui scatta il blackout per Internet e la comunicazione via cellulare. “Il 31 gennaio, dopo avere organizzato la mobilitazione davanti all’ambasciata egiziana a Madrid via Facebook, ho deciso di partire per Il Cairo”, ricorda Basel. “Ho passato 11 giorni nella piazza, a tirare pietre e fare barricate come tutti gli altri. Facevamo vita comunitaria, occupavamo le strade di giorno in giorno, dalle case intorno si organizzavano per portarci cibo e tabacco. Una sola cosa ci univa: che Mubarak se ne andasse”, puntualizza Basel che riconosce quanto la strada politica sia in salita. “Senza leader tutto sarà più democratico, ma più lento. Certo, ci stiamo organizzando all’interno del movimento, ma nessuno può rappresentarci: chi è del vecchio regime proverà a fagocitare le leve rivoluzionarie e il nuovo assetto politico. Nei prossimi tre mesi vedremo cosa accadrà, è tutto possibile. Non abbiamo garanzie, ma non si torna indietro”.
Il regista ricorda anche la posizione ambigua di Al Jazeera: “Nei primi giorni non sapeva che fare. Aveva appoggiato la rivolta tunisina perché era lontana dagli Emirati. Per l’Egitto, però, la situazione era diversa. Sapevano che se fosse accaduto qualcosa lì, nel paese più grande del mondo arabo, ci sarebbe stata una reazione a catena. In più Il Cairo è vicino ai pozzi petroliferi, ovvero a chi possiede Al Jazeera. Solo quando hanno visto che per Mubarak era finita sono stati dalla nostra parte”.
MediEncounter si prefiggeva come obiettivo anche quello di stilare un manifesto dei blogger, che includesse cinque punti condivisi dai cyberattivisti del Mediterraneo.
Tuttavia, dopo la lettura del documento da parte degli organizzatori, la blogosfera araba a Xabìa si è opposta: non firmeremo, hanno detto, è un processo che deve durare settimane ed estendersi oltre il raduno di Alicante, essere democratico anche se lento. Eppure per Basel sono già chiari alcuni punti: “Non vogliamo nessun tipo di intervento militare e politico da parte dell’Europa: chiediamo solo il sostegno dei popoli. E un regime di protezione internazionale per gli attivisti politici a tutela della libertà di opinione”.