Umberto EcoApocalittici e integrati ai tempi di Internet. Ha sollevato un polverone in Rete l’ultimo numero della Bustina di Minerva, storica rubrica di Umberto Eco sull’Espresso. Partendo da un nostro articolo, nel quale raccontavamo come il genio delle truffe giornalistiche, Tommaso Debenedetti– già fattosi conoscere per le finte interviste a Gore Vidal e Philip Roth –, si fosse spacciato per l’autore del Cimitero di Praga riuscendo a far pubblicare una lettera falsa sull’Herald Tribune, Eco tira le file della distinzione tra vero e falso nell’era digitale.

“Ormai Internet
scrive il professoreè divenuto territorio anarchico dove si può dire tutto senza potere essere smentiti. Però – aggiunge – se è difficile stabilire se su Internet una notizia sia vera, è più prudente supporre che sia falsa”. A sostegno di questa tesi, Eco elenca una serie di accadimenti che lo vedono protagonista. Il caso di Debenedetti, appunto; poi un lancio dell’Adnkronos che, tracciando un profilo del bidello dell’Isola dei famosi Carlo Capponi, recentemente scomparso, ricorda la soddisfazione di questi nel aver collaborato proprio con il semiologo: “Gli giravo le pagine mentre firmava gli autografi”; circostanza che Eco smentisce. Quindi l’articolo da una testata online che, recensendo un libro, attribuisce ad Eco una prefazione mai esistita; ed infine un’altra agenzia di stampa che pone il set del Nome della Rosa non a Fiano Romano ma a Rocca Calascio.

Su Internet, si sa, le bufale non mancano. Ma, come fa notare anche sul suo blog Luca Sofri, le notizie citate da Eco nella sua Bustina provengono da fonti d’informazione (giornali di carta e agenzie) che con Internet non hanno niente a che fare; la rivista online citata, inoltre, si dichiara “giornalistica”, ed eventuali errori sono difficilmente imputabili alla piattaforma di pubblicazione. In Rete, le parole di Eco sono accolte con buona dose di stupore.

Anche perché è da ricordare come proprio in una sua prefazione a Apocalittici e Integrati, il professore ricordava come il volume fosse stato colpito, all’uscita nel 1964, dagli strali degli apocalittici. Se il testo scandagliava con rigore accademico vari aspetti della cultura contemporanea (dai fumetti alla musica leggera), i giornali ne parlarono con titoli ironici, tipo “I fumetti entrano nell’università come impegnativa materia di studio”. A quei tempi, insomma, veniva contestata la dignità del “fumetto” in sé come oggetto di approfondimento. Oggi, in qualche modo, lo stesso trattamento è riservato a Internet, anche da Eco. Forse è un destino comune: toccherà anche ai blogger nascere “integrati” e morire “apocalittici”.

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