“Speriamo che muoia come un cane”. Così Marco Clemente, candidato del Pdl alle prossime elezioni comunali milanesi, parlava con Giuseppe Amato, braccio destro della cosca Flachi, poi arrestato, in un’intercettazione riportata negli atti di un’inchiesta della Dda di Milano sulla ‘ndrangheta. La frase di Clemente – che non risulta indagato – era riferita al titolare di un locale notturno del capoluogo lombardo, vittima – secondo le indagini – delle estorsioni della cosca di Pepè Flachi. “Ci chiediamo che cosa ne pensi il sindaco, ci piacerebbe avere una risposta, innanzitutto come milanesi” è il commento di Stefano Boeri, capolista del Pd a Milano. “Mi chiedo con quale faccia il sindaco Letizia Moratti possa presentarsi davanti ai cittadini in compagnia del candidato del suo partito Marco Clemente”, gli fa eco Maurizio Baruffi, portavoce del candidato sindaco Pd, Giuliano Pisapia. La pensa diversamente invece l’onorevole del Pdl Giorgio Stracquadanio, che accusa i magistrati di aver fatto uscire il materiale su Clemente non a caso in campagna elettorale, nonostante si trovasse “nella Procura della Repubblica da più di tre anni senza che ne fosse uscito nemmeno una virgola”. Adesso il materiale investigativo “viene volantinato da magistrati felloni – aggiunge l’onorevole – che intervengono per la quinta volta consecutiva a gamba tesa in una campagna elettorale che ogni giorno di più perde il suo carattere democratico”.
“Milano, la città che ha dato uno straordinario contributo all’Unità d’Italia 150 anni fa, che ha visto la fine del fascismo sancita dall’incontro tra la Chiesa e il Cln e che ha sconfitto il terrorismo brigatista negli anni di piombo, non può più tollerare un nucleo eversivo del diritto e della democrazia”, conclude la nota.
“Sono parole che non ho detto – ha dichiarato Clemente – sono tematiche che non mi interessano, sono espressioni che non mi appartengono: se avessi pronunciato quelle frasi sarebbe scattata obbligatoriamente un’indagine su di me. Visto che non c’è nessuna indagine è evidente che qualcosa non torna”. Il candidato si è detto ferito “prima sul lato umano che su quello politico” dalla pubblicazione dell’intercettazione, ma ha sottolineato che non rinuncerà alla campagna elettorale. Il suo non sarà insomma, un nuovo ‘caso Lassini‘, l’autore dei manifesti anti-pm, candidato per il Pdl. Ma Clemente se la prende con “una sinistra giustizialista e forcaiola che invece di approfondire una vicenda complessa, a dieci giorni dal voto si ostina a colpire non tanto me quanto Letizia Moratti e Silvio Berlusconi”. La frase attribuita al candidato Pdl risale a un’intercettazione ambientale del 17 febbraio del 2008 nel locale ‘Babylon’ di Milano, intorno alle tre di notte. Secondo le indagini, Clemente discuteva con Giuseppe Amato – poi arrestato per associazione mafiosa -, ritenuto l’addetto per il boss Flachi alla riscossione del pizzo nei locali milanesi. Amato avrebbe fatto riferimento a due gestori che si rifiutavano di piegarsi all’estorsione. “Due settimane e non fanno più after, la prossima volta che si permettono… Gli spacco tutto”, avrebbe detto Amato. All’aggiunta del boss “Bartolo, va bene…”, Clemente avrebbe risposto: “Speriamo che muoia come un cane”. Secondo gli inquirenti, si tratta di Bartolo Quattrocchi, gestore della discoteca ‘Pulp’. E ancora alle minacce di Amato di presentarsi in un locale della Cassanese, il candidato Pdl avrebbe risposto: “Li vai a trovare, prima di fare qualsiasi cazzata mi chiami”.
Il nome di Clemente compare spesso nelle indagini sulla ‘ndrangheta lombarda, pur non essendo mai stato indagato. In una informativa della polizia di Milano – che non ha valore di prova – il candidato Pdl è indicato come l’uomo che incontrò il boss Salvatore Barbaro per chiedere i voti della comunità calabrese. E da più parti risulta la sua vicinanza con Loris Grancini, capo dei Viking, gli ultras juventini di Milano. Grancini, considerato uomo vicino a Cosa nostra e alla cosca calabrese dei Rappocciolo, avrebbe chiesto poche settimane fa alla curva di appoggiare Clemente alle elezioni.