Una macchina perfetta per distruggere quanto resta delle coste italiane. Questo in sintesi il senso del decreto legge sul rilancio dell’economia che è stato approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Ci sono in primo luogo i rituali rilanci del “piano casa”. E’ dal 2008, non appena insediato, che il governo Berlusconi ha puntato tutte le carte per la ripresa sul mattone.
Il primo provvedimento affermava che si sarebbero costruiti migliaia di alloggi pubblici, comprese alcune “new town”. L’anno successivo fu la volta del secondo piano casa legato alla possibilità di “aumentare di una stanza la propria villa”. Entrambi sono stati un fallimento. Analogo naufragio hanno avuto i piani casa che tutte le regioni (di destra o sinistra) hanno approvato nel 2009.
La ripresa dell’edilizia non parte perché in questi venti anni di deregulation si è costruito troppo e male. Pochi giorni fa il settore immobiliare della Confcommercio ha chiesto aiuto al comune di Roma perché ha sulle spalle 40mila alloggi invenduti. A Roma esistono oltre 100 mila alloggi invenduti: 300 mila persone potrebbero trovare casa solo con quanto esiste. Su scala nazionale si supera il milione di alloggi invenduti: e la ricetta per “far riprendere l’economia” è quella di costruire nuove case? Solo un governo fallimentare e senza prospettive può sostenere una simile banalità. Il fatto grave è che nell’opposizione parlamentare nessuno critica questa miopia.
Il decreto legge contiene poi due micidiali articoli che produrranno la distruzione di quanto resta inedificato delle coste italiane. Entrambi sono contenuti nell’articolo 5 del provvedimento. Al primo comma al fine di “rilanciare l’offerta turistica nazionale” si cedono spiagge e arenili ai privati per novanta anni. Anche in questo caso non si ragiona sul fatto che la nostra offerta turistica perde colpi sul mercato internazionale perché non ha le qualità d’impresa e ambientali che gli altri paesi del mondo perseguono. E invece di affrontare la questione si cedono i beni pubblici!
La parte peggiore sta nel comma 4 dove si afferma che “possono essere istituiti nei territori costieri, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta delle imprese di settore che operano nei medesimi territori” (la sottolineatura è mia) i Distretti turistico-alberghieri che vengono equiparati alle “zone a burocrazia zero” istituite con decreto legge 78/2010. Afferma l’articolo 43 di quel decreto che nel sud d’Italia per favorire l’economia “possono” essere istituite zone in cui le attività produttive sono approvate da un Commissario di governo che provvede mediante una conferenza di servizi ad approvare l’iniziativa economica proposta. Se questo non avviene entro 30 giorni, si intende approvata.
Quell’articolo permette dunque di poter fare ciò che si vuole dove si vuole: costruire un albergo, un ristorante, un supermercato, un campo da golf o tutto ciò che salterà in mente a una classe dirigente incapace di pensare a un orizzonte che non sia la più volgare speculazione edilizia. Ora questo scempio è esteso a tutto il sistema costiero italiano e il meccanismo potrà partire su richiesta delle imprese. Stiamo diventando un paese incivile che distrugge qual poco che resta delle sue meravigliose coste.
Del resto, che la regia dell’operazione sia molto oculata lo dimostra il recente spot berlusconiano a Lampedusa. Nella foga del venditore che doveva piazzare alberghi e campi da golf, disse testualmente: “Abbiamo la possibilità anche di fare delle zone a burocrazia zero. Cosa significa? Che mentre adesso per aprire un ristorante, per aprire un negozio ci vogliono autorizzazioni su autorizzazioni, in quelle zone si potrà far tutto, rispettando i regolamenti edilizi, rispettando le norme igieniche sanitarie, e il Comune manderà soltanto successivamente alla realizzazione dell’opera un suo incaricato a verificare che siano state costruite le opere in osservanza a tali regolamenti e se è il caso chiederà che vengano apportate le opportune modifiche”.
Il governo riesce dunque a portare a casa ogni progetto mentre l’opposizione parlamentare è incapace di comprenderne il disegno generale o – in molti casi – ne condivide purtroppo lo spirito. I distretti turistico-alberghieri insieme alle zone a burocrazia zero rappresentano dunque un’altra tappa, l’ultima forse, del processo di dissoluzione del potere pubblico di governo del territorio.