L’intelligenza non basta. Anzi, paradossalmente, l’intelligenza inganna, manipola, devia, insinua dubbi. L’intelligenza, lucida, perversa, cattiva, è capace, lentamente, di distruggere l’altro. Perché più della violenza fisica l’intelligenza può. E l’intelligenza di un creativo narciso fallito (anche creativa narcisa fallita) alle volte diventa un boomerang, per le persone che la circondano.
Lo racconta bene una giovane giornalista francese, di 32 anni, che tutto sembrerebbe che persona debole, manipolabile, insicura. Si chiama Caroline Bréhat: ha conosciuto un giovane e fascinoso musicista, se n’è invaghita, è rimasta scottata. E in “Ho amato un manipolatore” (Bompiani Overlook, 16,50 Euro) riporta passo passo la sua disgraziata storia con Julien, cantante di colore residente nella Harem “cool”, che all’inizio tutto sembrerebbe tranne uno psicolabile all’ultimo stadio.
Il libro è divertente perché spiega il punto di osservazione di una persona normale utilizzando la tecnica narrativa di una giornalista di “mestiere”. E non si tratta di un saggio o di un manuale, ma della descrizione quasi asettica del divenire di una storia d’amore che lentamente diventa incubo. Del lento svelarsi del povero musicista intellettuale, colto, che crede profondamente nella propria missione “evangelizzatrice” tanto da rifiutare contratti milionari con case discografiche che vorrebbero ricoprirlo di soldi soltanto per la sua voce. E non per i suoi contenuti.
Julian, infatti, è un autore che lavora intorno ai temi della globalizzazione. E’ un’anima pulita, che si batte contro un vortice economico insensato, che ha portato la finanza a guidare scelte etiche, e che ha fatto dimenticare alle persona la dimensione “sociale” del vivere. Dice “noi artisti possiamo costruire un mondo diverso, ma dobbiamo accantonare la logica del profitto. Io vendo il mio ultimo cd su internet ad un prezzo irrisorio. Se vogliamo che la musica cambi la nostra società, dobbiamo anche cambiare i modi di distribuzione”.
Sulla carta, tutte belle parole che gli innovatori non possono non condividere. In pratica, Julian, il musicista che si considera – e racconta durante la prima intervista “concessa” alla povera giornalista innamorata-malcapitata – un “cantante messia” come Bob Marley e Bob Dylan, si rivela poi un grande squilibrato. Perché a tanti ideali non è in grado di agganciare il realismo del “day by day”. E perché, come molti autori uomini, ha una relazione malata con la madre (ahi le suocere) che finirà per inficiare anche il rapporto con Caroline, la narratrice peracotta-innamorata.
Il peccato di ingenuità, alle volte, da parte delle innamorate (degli innamorati) dei creativi, è consapevole. Pur di vivere l’altalena emotiva della quale si diventa subito dipendenti si accettano piccoli grandi compromessi. Certo però che con un megalomane che alla prima intervista si afferma più grande di Bob Dylan perché lui “oggi ha perso l’anima”… beh, sarebbe stato lecito, subito, diffidare. No?