Il ministero della Difesa “non è a conoscenza” della fornitura di armi italiane annunciata ieri dai ribelli libici. “Non mi risulta che l’Italia abbia dato o abbia intenzione di dare armi – ha spiegato oggi il ministro Ignazio La Russa -, se non strumenti difensivi come camion e cose del genere”. La smentita segue quella della Farnesina che ha ricordato come l’Italia fornisca “materiali per l’autodifesa” secondo gli accordi di Doha nel quadro della risoluzione 1973, ma nessun materiale d’attacco. Mentre continuano i raid della Nato sulla capitale Tripoli e, secondo la tv di Stato libica, alcuni gruppi ribelli si sarebbero arresi alle forze lealiste. Ieri la notizia smentita dai ministri italiani era stata diffusa direttamente dal Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Il vicepresidente del Cnt, Abdel Hafiz Ghoga, ha spiegato che rappresentanti militari degli insorti sono stati in Italia e hanno raggiunto un accordo per la fornitura con i responsabili italiani. ”La Russa non aveva bisogno di giustificarsi, avendo già preso la decisione – commenta la smentita il senatore Giovanni Torri, capogruppo della Lega in commissione Difesa – Cosa pensa, che la gente crede che i mezzi difensivi siano le fionde? Dove è la differenza tra armi e mezzi difensivi?”. Per il senatore, le parole del ministro vanno interpretate. “Il fatto – conclude Torri – è che questa maledetta guerra voluta da Oltralpe e Oltreoceano con noi ubbidienti alla prima chiama, la pagheranno le giovani generazioni nostre e loro”. E dall’opposizione si chiede che La Russa e Frattini riferiscano in aula o nelle Commissioni. “Le dichiarazioni dei ribelli rappresentano un fatto di una gravità inaudita – commenta Stefano Pedica dell’Idv -. Questo governo continua a fare acqua da tutte le parti sulla politica estera, ora anche fornitore di materiali non precisati” riferendosi agli strumenti difensivi annunciati dai ministri. “Unico obiettivo non è rispettare la nostra costituzione né la risoluzione 1973, ma confermare la confusione totale di ministri incapaci di intendere e di volere”, conclude Pedica.
Un giallo di dichiarazioni che arriva mentre gli Stati Uniti, dopo la visita a Roma del segretario di Stato americano Hillary Clinton, mostrano il loro apprezzamento per “la leadership italiana”. “Siamo consapevoli che per l’Italia la situazione è più complessa che per gli altri Paesi – ha spiegato la Clinton in un’intervista a Lucia Annunziata -, ma è proprio perché l’Italia conosce bene la Libia, ha tanti contatti e rapporti storici con quel Paese è particolarmente importante che ricopra un ruolo di primo piano”. E l’Italia ha risposto aumentando il proprio impegno militare in territorio libico, decisione che secondo la rappresentante Usa “avrà un impatto di rilievo”. L’ostacolo è però Muammar Gheddafi, anche se la sua fuoriuscita è intesa come politica dalla coalizione internazionale. Riguardo a una possibile uccisione del rais, la Clinton ha commentato che “onestamente non è questo lo scopo della missione”. I bunker gestiti dal rais e dai suoi familiari sono però “obiettivi legittimi” e, ha ammesso il segretario di Stato, il Colonnello “potrebbe diventare vittima della violenza che ha lui stesso innescato”.
Attacchi che continuano in diverse zone della Libia. A Misurata, la tv di Stato libica annuncia che alcuni gruppi di insorti – dal numero non specificato – si sarebbero arresi e consegnati alle forze governative. Secondo un anonimo portavoce militare del regime, verranno presto diffuse in tv le registrazioni delle loro confessioni. Secondo quanto riporta un corrispondente della ‘France presse’, è intanto visibile una colonna di fumo che si alza da un deposito di carburante nel porto della città. Lo stesso colpito ieri dai bombardamenti delle forze lealiste. Si sarebbero così già formate le code di cittadini davanti alle stazioni di servizio, nel timore che il carburante possa presto scarseggiare nella città sotto assedio da due mesi. E dopo i raid Nato a est della città, violenti combattimenti sono in corso tra gli insorti e i lealisti nella zona dell’aeroporto e della vicina accademia dell’aeronautica militare, dove “si continuano a sentire colpi di artiglieria ed esplosioni di missili”, racconta un portavoce dei ribelli. Ma i raid della coalizione internazionale proseguono anche nel resto del Paese: due caccia Tornado britannici hanno distrutto nella città di Sirte almeno 30 container per il trasporto di missili sovietici Scud e diversi testimoni hanno raccontato di due violente esplosioni a nella parte occidentale di Tripoli, dove sono stati visti in volo caccia-bombardieri dell’Alleanza. Per i presenti, si tratta del più forte raid alleato da quello che uccise il figlio minore del Colonnello libico. Nel frattempo, un portavoce dei ribelli a Zintan ha riferito che aerei della Nato hanno attaccato alcuni depositi governativi di armi. Negli scontri di ieri con le forze fedeli al regime inoltre, secondo quanto riferisce il portavoce, hanno perso la vita undici insorti e altri 35 sono rimasti feriti.
E si fa sempre più difficile la situazione per i profughi libici. Da febbraio, quando sono iniziati gli scontri, migliaia di cittadini libici sono fuggiti in Egitto e Tunisia, ma adesso le autorità del Cairo hanno deciso di bloccare l’accesso a chiunque non sia in possesso di un visto da richiedere in un’ambasciata egiziana all’estero. Una risposta a misure simili prese da Tripoli due anni fa, ha spiegato il ministro degli Esteri egiziano.