L’input era arrivato, poco più di due mesi fa, dalla Onlus Amici del cuore. L’ipotesi che nell’unità di emodinamica interventistica della cardiologia dell’ospedale Policlinico di Modena fosse in atto un mutamento d’indirizzo a causa dell’effettuazione di procedure di emodinamica per patologie non solo cardiologiche di “evidente pertinenza della chirurgia vascolare”.
Una “denuncia” che potrebbe risultare difficile a capirsi, ma che viene chiarita immediatamente quando si pensa a tutti i casi sospetti e probabili decessi della struttura diretta, fino a qualche settimana fa, dalla dottoressa Maria Grazia Modena.
Da allora il vortice dello scandalo sanitario in salsa modenese è stato inarrestabile portando la Procura a iscrivere due persone nel registro degli indagati. In una nota a firma del procuratore della Repubblica di Modena, il dottor Vito Zincani, infatti, la magistratura iscritto due persone nel registro degli indagati. Una delle due persone indagate è il dottor Giuseppe Sangiorgi, direttore uscente della emodinamica, nei confronti del quale viene ipotizzato il reato di lesioni colpose. Ignota invece l’identità dell’altra persona indagata, verso la quale, con tutta probabilità, l’ipotesi di reato oscillerebbe tra le lesioni colpose e l’omicidio colposo, in relazione ai numerosi e variegati casi segnalati dagli esposti di cui si è fatto carico il Codacons di Modena, che oggi annuncia che darà vita a una causa collettiva.
Nella relazione della commissione d’inchiesta regionale sul caso cardiologia, sorta dopo le prime denunce, si legge, in lunghe e sofferenti 19 pagine, di 51 casi sospetti, di cui 26 riguardanti pazienti sottoposti a trattamenti endovascolari extracardiaci. Di questi ultimi, dunque, solo in uno non sono state riscontrate le criticità evidenziate dalla relazione regionale.
Nei rimanenti casi, invece “il gruppo di lavoro – si legge nella relazione – ha rilevato: documentazione clinica inadeguata o mancante in cartella relativamente alla valutazione di score di rischio o di comorbilità, con impossibilità a verificare l’effettiva applicazione di protocolli diagnostico-terapeutici, adeguati al caso; consenso informato carente e particolarmente inadeguato nei casi di specie, trattandosi dell’esecuzione di procedure complesse che non rappresentano la prima scelta, soprattutto al di fuori di un contesto di emergenza; elemento ancora più rilevante in considerazione della assai limitata presenza di informazioni che attestino l’avvenuto coinvolgimento del paziente e/o dei familiari (quando legittimati) nel processo assistenziale; esecuzione di procedure interventistiche endovascolari extracardiache, senza il coinvolgimento di chirurghi vascolari e/o di radiologi interventisti e senza evidenze di approccio anche consultivo multidisciplinare; indicazioni alle procedure extracardiache spesso non aderenti a quanto raccomandato in letteratura, con un approccio terapeutico, in taluni casi eccessivamente intensivo; esecuzione di procedure interventistiche non coronariche in assenza di valutazione cardiochirurgica preliminare documentata”.
Entrando nel dettaglio della relazione, qualche esempio aiuterà a capire la complessità della vicenda. Nel caso 2, ad esempio, manca il consenso per l’effettuazione di un PTA carotideo (un trattamento della carotide tramite angioplastica). In un altro caso, invece, i “revisori – si legge nella relazione – esprimono dubbi sull’indicazione al posizionamento dello stent in quanto quest’ultima lesione non appare critica, né irregolare all’angiografia, contrariamente a quanto descritto dalla risonanza magnetica, che, notoriamente, sovrastima la lesione”.
Sconvolgente il caso di effettuazione di un intervento, alle carotidi, mentre invece era stato il consenso per un intervento alle coronarie. Persino differenze di opinioni tra i medici, che “divergono sul tipo di intervento effettuato”.
E ancora: “I revisori – si legge nel passo della relazione relativamente al caso 15 – esprimono perplessità sull’indicazione all’intervento, data la presenza di coronaropatia e di autonomia di marcia accettabile, come indicato nelle linee guida. Non è presente in cartella menzione di terapie mediche effettuate in precedenza, indicative di un normale percorso diagnostico-terapeutico della malattia, indispensabile per la buona scelta terapeutica. Assente il consenso informato”.
Sono poi state visionate altre 25 cartelle relative ad episodi particolarmente complessi. Di questi 25, ben 18 hanno riportato le stesse criticità citate nella relazione della commissione d’inchiesta.
Punti specifici comuni ai due campi di attività sono, invece, lo stato della documentazione clinica: “nel corso della valutazione – dice la relazione – l’esame di tutte le cartelle cliniche ha fatto rilevare una qualità della tenuta della documentazione clinica decisamente carente, sia in termini di completezza di compilazione, sia in termini di accuratezza della rilevazione delle informazioni necessarie a formulare un’adeguata decisione terapeutica”.
Relativamente al consenso informato, invece “il gruppo di lavoro ha preso atto della decisione aziendale di separare e quindi di non tenere in cartella il materiale informativo a fini di semplificazione della procedura, ma ha dovuto rilevare la presenza di molte inadempienze in termini di completezza delle firme apposte (in alcuni casi mancanza della firma del medico, in altri di quella del paziente) o, in cinque casi persino di totale assenza della registrazione del consenso in cartella clinica”.
Anche un “capitolo” dedicato all’impiego di nuove tecnologie: “l’analisi si è limitata alla valutazione di alcune procedure di particolare complessità che utilizzano in parte tecnologie a carattere innovativo, attualmente oggetto di valutazione da parte della commissione cardiologia e cardiochirurgia regionale. In particolare, oltre all’impiego di sistema di assistenza ventricolare, sono state esaminate procedure tipo la chiusura dell’auricola sinistra e il leak perivalvolare mitralico. Continuando queste tecniche, per il grado di sofisticazione dell’intervento, spesso sono effettuate con l’ausilio di un tutoraggio per lo più messo a disposizione dall’industria produttrice. Se questa modalità è certamente da considerarsi più sicura, deve comunque essere documentata. Il rilievo dell’effettuazione di isolate procedure ad alta complessità ha giustificato l’ipotesi da parte dei revisori della presenza, al momento dell’intervento, di assistenza esperta”.
Proprio di ieri il nuovo caso portato all’attenzione dei media dal Codacons. Si tratta di un modenese che, soffrendo da tempo di un dolore alla gabbia toracica, si rivolge al Policlinico. Nel reparto di emodinamica viene sottoposto ad una coronografia, senza spiegare lui che in un caso su mille l’esame può essere mortale. A questo tipo di esame l’uomo si sottoposte per ben due volte: la prima incappando in una reazione allergica, nel secondo in un arresto cardiaco. E oggi l’uomo è invalido al 70% ed un malato di cuore conclamato.
Nelle conclusioni della relazione dunque: “il gruppo sottolinea come l’inappropriatezza possa essere fonte di rischio e possa creare le condizioni per il verificarsi di eventi avversi, assunto peraltro dimostrato anche da diversi casi fra quelli analizzati nel corso della verifica. Le peculiari condizioni cliniche dei pazienti assistiti presso questa struttura oltre all’intrinseca complessità delle procedure impiegate, rendono il tema dell’appropriata valutazione del rapporto rischio-beneficio degli atti clinici particolarmente rilevanti”.
Di fronte all’evidente drammaticità dei casi, dunque, il Codacons modenese (che già nelle precedenti settimane aveva chiesto esplicitamente le dimissioni della dottoressa Modena, oltre che del direttore generale del Policlinico Stefano Cencetti come monito di responsabilità nei confronti della cittadinanza) lancia un’azione collettiva indirizzata a tutti coloro che ritengono di essere stati danneggiati da un comportamento irregolare da parte di singoli medici e da parte della struttura ospedaliera.