Credo che, in un clima politico come quello italiano, in cui la bussola sembra impazzita e la sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica in generale ha raggiunto livelli difficilmente eguagliabili, la memoria sia l’unica arma capace di far luce sul nostro presente e dar forma al futuro restituendo senso alle nostre azioni.
La mancanza di memoria era per Bonhoeffer, teologo tedesco protagonista della resistenza al Nazismo, il segno distintivo del suo tempo; quella stessa mancanza di memoria caratterizza anche i nostri giorni, nel senso che viviamo, in forme e proporzioni diverse, un’amnesia collettiva, o meglio, una volontà di occultare e infangare la memoria, evitando così l’assunzione delle proprie responsabilità.
Basti pensare all’oblio colpevole che lo Stato italiano ha nei confronti dei morti ammazzati per mafia, delle vittime del terrorismo e dei caduti del lavoro, o nei confronti dei loro familiari che ormai da troppo tempo aspettano verità e giustizia. È per questo che oggi più che mai abbiamo bisogno di non dimenticare, anzi di imporci in modo ossessivo il ricordo, la memoria, di chi ha dato la vita in nome di un’idea di Stato e di giustizia, affinché noi potessimo vivere in un mondo migliore. Come Peppino Impastato, ucciso esattamente 33 anni fa.
Gli uomini guardano il cielo
E si stupiscono,
guardano la terra
e si muovono a pietà,
ma, stranamente,
non si accorgono di loro stessi.
Peppino Impastato