Il grande circo dell’editoria, che non fa mancare ricchi anticipi a scrittori di grido, brillanti campagne di marketing e grassi stipendi agli amministratori delegati, si regge in gran parte sulle spalle dei precari. Negli ultimi due decenni, infatti, l’editoria italiana ha usufruito in modo indiscriminato del lavoro atipico, facendo sempre più ricorso a contratti a progetto, stage e partite Iva obbligate. La percentuale di atipici nelle case editrici è oggi altissima, e spesso le redazioni sono costituite quasi interamente da precari che hanno come orizzonte di vita la breve durata di un co.co.pro. Giovani e meno giovani, ambiziosi e disillusi, entusiasti e assuefatti, tutti hanno in comune la difficoltà di arrivare a fine mese, l’impossibilità di comprare casa, l’assoluta mancanza di diritti sacrosanti quali malattia, maternità e ferie pagate, Tfr, contributi pensionistici dignitosi. E spesso si trovano ad accettare tariffe al ribasso perché “se così non ti sta bene puoi andare, tanto fuori c’è la fila”.
Ricordate le parole di Mastropasqua, presidente dell’Inps? “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Ebbene, tra i precari italiani ci sono anche quelli dell’editoria, meno famosi degli insegnanti presi in giro dalla Gelmini. Nessuno parla di loro, ma ci sono. È il loro lavoro che porta in libreria i libri che leggete, i testi scolastici su cui studiano i vostri figli… Sono tanti e sono arrabbiati, tanto da essersi costituiti nella Rete dei redattori precari. Non stupitevi se li troverete fra gli stand del Salone del Libro, armati di creatività e voglia di far sentire la propria voce. Proprio davanti agli stand delle case editrici che li sfruttano.
Vignetta di Arnald. Per ingrandire clicca qui