Salvare gli oceani dalla plastica con ogni mezzo necessario. E’ questa la missione dell’organizzazione non-profit americana Ocean Voyage Institute che ha lanciato una campagna ecologista politicamente scorretta sconcertando il mondo degli animalisti. L’iniziativa, studiata e messa a punto dalla agenzia di comunicazione Cohn & Wolfe, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento degli oceani e per farlo userà un vero pesce rosso costretto intenzionalmente a vivere in un ambiente inquinato e tossico. A chi vuole salvare i mari dalla plastica verrà chiesto di donare 5 euro per salvare il pesciolino sommerso dai detriti tossici in un acquario collegato in diretta 24 ore su 24 su Facebook.
L’obiettivo di “Save Kai” – salvate Kai, è questo il nome che è stato dato al piccolo pesce rosso – è quello di coinvolgere i fan di Facebook perché diventino donatori attivi. Lo farà attraverso la riproduzione in “dimensione acquario” del vortice di plastica che ogni giorno minaccia e uccide la vita marina nel Pacifico del Nord.
Attraverso una webcam attiva 24 ore su 24, le persone potranno seguire il pesciolino Kai ed essere testimoni della sua difficile condizione, la stessa minaccia a cui sono sottoposti ogni giorno milioni di pesci a causa dell’invasione della plastica. Per 30 giorni, Kai vivrà in uno spazio circoscritto all’interno di un acquario colmo di rifiuti di plastica, che rappresentano il Vortice di Plastica del Pacifico. Per salvare Kai e rimuovere i detriti dalla sua casetta acquatica, i partecipanti potranno fare donazioni via Facebook di almeno 5 euro dal 10 maggio fino al 10 giugno. La campagna si chiude subito dopo il World Ocean’s Day. Nell’acquario ci sono infatti detriti di diversa natura e di diverso prezzo. Se si vuole togliere una semplice fiche di plastica basta donare infatti 5 euro. Se invece si vuole togliere uno dei bottiglioni di plastica che ostruiscono la webcam occorre donare almeno 20 euro.
Mano a mano che le donazioni aumenteranno, diminuiranno i detriti di plastica nell’acquario, creando per Kai un ambiente finalmente sicuro e pulito in cui nuotare. Tutto il ricavato della campagna sarà devoluto a Project Kaisei per aiutare la prossima spedizione di pulizia dei mari, in programma per l’estate 2011.
“Durante la nostra spedizione del 2010 siamo rimasti sconvolti nel trovare pezzi di plastica che galleggiavano nell’acqua a 1.000 miglia dalla costa, in uno dei più remoti ecosistemi della Terra” – spiega Doug Woodring co-fondatore di Project Kaisei – “Con questa campagna vogliamo aiutare le persone di tutto il mondo a capire l’impatto dell’inquinamento causato negli oceani dalla plastica e a ripensare il nostro modo di usare i materiali che poi finiscono in acqua”.
La questione della plastica negli oceani è cosa piuttosto seria anche da noi e c’è chi apprezza, almeno in parte, lo spirito dell’iniziativa. “Sono contento che si cominci a sensibilizzare l’opinione pubblica verso questo tema – spiega in un’intervista a marescienza.it Giuseppe Nascetti, biologo marino dell’Università La Tuscia di Viterbo – La plastica è un problema rilevante anche nei mari italiani anche se riconosco che la scelta di far vivere volutamente un pesce in un ambiente inquinato è decisamente provocatoria”.
Più che una provocazione, per la Lega Antivisezione, quella di Cohn & Wolfe è un’iniziativa “aberrante” che rischia di vanificare anche gli obiettivi stessi della campagna. . “La scelta – spiega Gianluca Felicetti, presidente della Lav – di rinchiudere un pesce in un acquario, già deprecabile in sé, diventa inaccettabile quando lo si costringe a condividere il “suo” già ridotto spazio con materiali tossici e potenzialmente letali come rifiuti di plastica. Tale scelta, peraltro, ha il risultato di vanificare, a nostro avviso, l’allarme per la salute dell’ecosistema marino, il cui equilibrio è in pericolo a causa del massiccio sfruttamento, oltre che per l’inquinamento”.
Sarebbe meglio, per il presidente della Lav, “usare i pescherecci per ripulire il mare dai detriti plastici, per combattere inquinamento e disoccupazione del settore ittico, ottenendo, di riflesso, il risultato di impiegare altrimenti forza lavoro normalmente usata per depredare gli oceani dai suoi abitanti”.
di Emanuele Perugini