Le rivolte in Bahrain continuano, e rischiano al momento di uscire dal cliché delle ormai diffuse “rivolte arabe” per assumere l’aspetto di una vera guerra tra potenze regionali. Bahrain campo di battaglia tra Iran e Arabia Saudita?

Sembra proprio così. A partire dalle truppe che i sauditi e altri Stati del Golfo hanno inviato in marzo per sedare le rivolte (a pistolettate), il braccio di ferro tra il governo del Bahrain e i rivoltosi si è trasformato in un conflitto tutto interno tra parenti che difendono interessi stranieri diversi. In una trama da Re Leone, lo zio, il 75enne principe Khaliffa Bin Salman, è primo ministro dello Stato fin dal 1971, senza essere mai stato eletto -roba da far impallidire Gheddafi – mentre il nipote è l’attuale monarca. Il rapporto tra i due non è mai stato idilliaco, ma gli ultimi eventi hanno acuito le tensioni.

Sembra che i legami di Bin Salman con la monarchia saudita siano più che stretti, e che si debba a lui l’intervento militare di due mesi fa. Intervento che, malgrado il decreto reale di fine dello stato di emergenza nel prossimo 1 giugno,  non pare destinato a concludersi. Le truppe del Golfo hanno infatti annunciato di voler prolungare la permanenza, per proteggere la monarchia e “in anticipazione di qualsiasi intervento straniero”.

Intervento straniero significa ingerenza dello scomodo vicino Iran negli affari del Bahrain, che ha una popolazione a stragrande maggioranza sciita, pesantemente discriminata dal punto di vista sociale e lavorativo. Gli iraniani non si sono certo riposati durante le rivolte in Bahrain: hanno dichiarato di voler aprire un’inchiesta sulle violenze esercitate dall’esercito saudita nei confronti dei ribelli, mentre un illustre professore iraniano ha chiamato i rivoltosi ad “azioni militari” contro i sauditi, invitandoli ad incendiare  i pozzi petroliferi allo scopo di attirare l’attenzione dei Paesi occidentali ed esercitare pressione sui governi di Manama e Riyadh.

Ma proprio ieri, il re Hamad Bin Isa Al Khalifa ha fatto la sua mossa tendendo una mano a Teheran: si è infatti rivolto all’Iran, chiedendo “cooperazione” e offrendo “amicizia”. Ha attribuito poi la responsabilità delle tensioni ai media, colpevoli di fomentare inimicizie tra Paesi vicini, e ha proposto di “lavorare insieme”. La risposta iraniana non si è fatta attendere, e attraverso il ministro degli Esteri Teheran chiede oggi l’immediato ritiro delle forze arabe dal Bahrain definendole “misura inappropriata”.

E anche gli Stati del Golfo, durante l’ultima riunione del Gcc (Consiglio di cooperazione del Golfo), si sono posti qualche domanda. Estendere la partecipazione al Gcc ad altri Stati quali il Marocco e la Giordania, per contrastare le mire iraniane, è davvero “una questione che interessa tutti o si tratta in realtà di un piano privato tra Bahrain e Arabia Saudita? Così un ministro del Kuwait.

Insomma, le rivolte in Bahrain sono tutt’altro che rivoluzioni colorate o profumate al gelsomino. Rischiano di trasformarsi, oltre che in un tacito massacro, in una guerra regionale tra grandi potenze petrolifere che non potrà non avere pesanti ripercussioni.

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