Una discriminazione senza precedenti che calpesta in un colpo solo le leggi sulla parità tra i sessi, dallo Statuto dei lavoratori alla Costituzione.

Piovono compatte le critiche di Cgil e Pd sulla decisione dell’Ausl di Modena di negare l’assunzione di una operatrice socio sanitaria in stato di gravidanza per “l’incompatibilità attestata dal medico competente”. Nonostante avesse già acquisito in graduatoria il diritto a un incarico a tempo determinato, la lavoratrice si è vista soffiare il posto per quell’unica ragione: nel frattempo essere rimasta incinta.

A denunciare pubblicamente il caso è stata ieri la funzione pubblica della Cgil locale: “Siamo di fronte a un fatto grave che nega il diritto al lavoro e rappresenta una grave discriminazione – hanno spiegato Massimo Tassinari e Anna Paragliola, responsabili del settore Sanità – Non conosciamo altri casi del genere e in ogni caso sono molte le mansioni presenti in un’azienda come l’Ausl che possono essere svolte in stato interessante”.

La Cgil ha già messo a disposizione gratuitamente il supporto giuridico e sindacale necessario “per rimediare al torto subìto, perché questa è prima di tutto una battaglia di civiltà, che speravamo proprio di non dover più affrontare”.

Il capogruppo del Pd in Provincia, Luca Gozzoli, ha presentato un’interpellanza urgente auspicando “un immediato ravvedimento dell’azienda. Altrimenti saremmo di fronte a un’evidente e grave discriminazione: è ovvio che la gravidanza non può essere considerata una malattia”. Sindacato e sinistra, pronti a rintuzzare le politiche più clericali e reazionarie in tema di aborto e diritti del lavoro, sono rimasti sconcertati dalla decisione di un’azienda pubblica nella rossa Emilia che riporta indietro le lancette dell’orologio agli anni Sessanta, ignorando le conquiste ottenute dalle lotte di Pci e femministe. Oggi, spiegano dalla Cgil, le imprese private non lasciano più a casa dal lavoro le donne incinte in virtù della legislazione vigente (salvo le eccezioni di colpa grave, cessazione dell’attività o termine del contratto) e dunque di sentenze univoche di reintegro (mentre non c’è ancora un deterrente per i casi di mobbing al rientro sul posto di lavoro). La motivazione addotta dall’Ausl per rifiutare l’assunzione vìola l’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori e in generale tutte le leggi sulla parità fra uomo e donna (a partire dalla 203 del 1977) riaggiornate sulla base delle direttive europee. E naturalmente la Costituzione negli articoli 3 (uguaglianza di fronte alla legge) e 37 (sul lavoro).

Nove ore dopo la denuncia pubblica, l’Ausl di Modena ha ‘partorito’ una nota con cui cercava di trovare una giustificazione: “La decisione è la conseguenza della totale incompatibilità, certificata dal medico competente, tra la posizione che la signora dovrebbe andare a ricoprire e il suo stato di gravidanza. Tra i compiti che sono chiamati a svolgere gli operatori socio sanitari vi è il lavoro notturno, lo svolgimento di lavori faticosi, come lo spostamento manuale di pesi. Va aggiunto che nella stragrande maggioranza dei casi l’attività è svolta rimanendo in piedi per ore – prosegue il comunicato dell’azienda sanitaria – in luoghi a rischio biologico, sia per la madre che per il nascituro, come ad esempio negli ospedali, luogo quest’ultimo al quale era destinata. Infine, va precisato che la signora rimarrà comunque nella graduatoria e potrà quindi continuare ad aspirare alla posizione, inserimento a tempo determinato, quando le sue condizioni saranno nuovamente compatibili con l’incarico di operatore socio sanitario”.

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