I dati Eurostat fotografano il sempre più impietoso divario tra la prima e la terza economia di Eurolandia. L’export tedesco vola e i dividendi azionari sono addirittura migliori del periodo precedente alla crisi. L’Italia, al contrario, resta ferma
Ormai è ufficiale. Per la Germania la crisi è davvero finita. Lo evidenziano prima di tutto i dati della borsa, spettacolari a dir poco. E’ “l’ora degli azionisti”, titola in questi giorni il quotidiano finanziario Handelsblatt, portando alla luce dati inequivocabili. Il prossimo anno, si dice, le 30 più grandi compagnie tedesche distribuiranno ai loro investitori 29,2 miliardi di euro di dividendi battendo così il record storico di 28,1 miliardi fatto registrare alla fine del 2007, quando la Finanzkrise era ancora sconosciuta.
La Germania vola, insomma, seguita a distanza dalla Francia che comunque, dati alla mano, non può proprio lamentarsi. Parigi, dice Eurostat, registra una crescita del Pil dell’1% rispetto al trimestre precedente e del 2% nel confronto con un anno fa. Le due principali economie di Eurolandia, insomma, tirano la volata continentale mentre i soliti noti, tanto per cambiare, restano decisamente indietro. E’ il caso dell’Italia, ovviamente, inchiodata ad una ripresa cronicamente lenta e caratterizzata da previsioni spesso riviste al ribasso. La crescita acquisita per il 2011, in Italia, è pari allo 0,5%. Il 2011 si chiuderà con un modesto +1%, al di sotto rispetto alle recenti stime del Governo (+1,1) e alla media dell’eurozona (+1,6). Nel 2012 non si prevedono grandi miglioramenti: +1,3 per l’Italia contro l’1,8 delle economie della moneta unica.
A balzare agli occhi, comunque, è soprattutto il dato trimestrale. Nei primi 3 mesi del 2011 l’economia italiana è cresciuta dello 0,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. Per tornare alla metafora ferroviaria, è come se la locomotiva italiana stesse viaggiando a 10 chilometri all’ora contro i 150 dell’omologa tedesca. 15 a 1, insomma, come misura di un confronto davvero impietoso. Già, perché l’attuale storia del successo teutonico è diventata ormai l’autentico contraltare della narrazione contemporanea della nostra stagnazione. Lo si capisce analizzando i fattori della crescita di Berlino nel drammatico paragone strutturale dei due sistemi economici.
L’Italia delle piccole e medie imprese fatica a competere sui mercati internazionali. Non mancano le storie di successo (con tanto di retorica sul celebrato Made in Italy) ma il sistema delle eccellenze non riesce ad attecchire sulla grande industria. Un problema cronico che in Germania non si sente minimamente. Prendete il caso della Cina: Pechino invade il mondo con le sue esportazioni ma non disdegna certo le auto tedesche. Volkswagen e Bmw, ha segnalato Seeking Alpha, uno dei principali blog finanziari del mondo, hanno prosperato sul crescente mercato della seconda economia del Pianeta dove, nell’ultimo anno, le vendite di un altro grande marchio, quello Mercedes, sono più che triplicate. Nella prima metà del 2010, l’export tedesco verso la Cina è aumentato del 55%. Poi c’è il fattore dell’impiego. In Italia il tasso di disoccupazione resta stabilmente al di sopra dell’8% contro il 7,1 registrato in Germania (il livello più basso degli ultimi 19 anni), dove il programma di riduzione dell’orario di lavoro delle imprese in difficoltà (con lo Stato che si è fatto carico del differenziale di salario) ha permesso a 1,5 milioni di tedeschi di conservare il proprio posto anche nei momenti più critici. Continuando così a mantenere il proprio stipendio e il conseguente potere d’acquisto. In altre parole, a far girare l’economia.