Operazione Liste Pulite. Così la Prefettura partenopea ha chiamato il monumentale lavoro di screening sui 10 mila candidati che, durante la prossima tornata elettorale, si affronteranno tra Napoli e provincia. Lo scopo è di verificare se nelle diverse liste ci siano soggetti “impresentabili” secondo i criteri fissati dall’articolo 58 del Testo Unico degli Enti Locali (decreto legislativo 267/2000).
Un’operazione invocata da più parti, dopo gli arresti di Armando Chiaro e Salvatore Camerlingo, candidati del centrodestra alle comunali di Quarto, accusati di essere affiliati al clan Polverino di Quarto. In particolare Chiaro, soprannominato “l’onorevole” e coordinatore del Pdl locale oltre che consigliere comunale uscente, sarebbe stato il tramite tra il boss Giuseppe Polverino, di cui avrebbe favorito anche la latitanza, e le istituzioni, con lo scopo di condizionare l’assegnazione degli appalti pubblici.
Un lavoro, quello della Prefettura di Napoli, che dopo i primi giorni di “monitoraggio”, ha portato già all’esclusione di cinque nomi perché, per legge, “incandidabili”. Si tratta di persone, 4 uomini e 1 donna, che in passato sono stati condannati per reati che vanno dallo sfruttamento della prostituzione all’estorsione.
Eppure il “repulisti” prefettizio, per quanto necessario, non può garantire l’assoluta trasparenza delle liste elettorali. Il motivo è semplice. Il Testo Unico degli Enti Locali stabilisce con chiarezza quali sono, ossia l’esistenza di condanne definitive per 416 bis, per associazione per delinquere finalizzata a traffico di sostanze stupefacenti; per la produzione, importazione e deportazione di armi e munizioni. L’esistenza di condanna definitiva per l’applicazione di una misura di prevenzione, nonché per i reati di peculato, malversazione, corruzione e concussione. E ancora, una condanna definitiva con l’applicazione di una pena superiore ai 6 mesi per delitti commessi con abuso di poteri o con violazione dei doveri nell’esercizio di una pubblica funzione di un esercizio; oppure sempre condanna definitiva con una pena non inferiore ai due anni per delitti non colposi.
Che cosa accade, però, se il candidato è “pulito” ma, allo stesso tempo, è figlio o nipote di qualche boss della camorra? In pratica nulla, perché i legami di sangue non sono condizioni ostative e quindi la persona ha tutto il diritto di partecipare alla competizione elettorale. È la legge. Nulla di strano quindi se il Pdl ricandida alla IV Municipalità Nunzia Stolder, figlia del più noto Raffaele che per anni ha controllato la zona della Maddalena. Già eletta alle scorse comunali ha deciso di riprovarci, respingendo con forza l’appellativo di “lady camorra“.
Chi invece è alla sua prima esperienza elettorale è Roberto Trongone, candidato alla II Municipalità con Forza del Sud, una delle liste che sostiene il candidato sindaco del Pdl, Gianni Lettieri. Suo padre Arcangelo è indicato dalle forze dell’ordine come esponente del gruppo malavitoso che opera nella zona di Rua Catalana.
Un altro caso è quello di Jessica Improta, candidata nelle fila dall’Udeur di Mastella alla I Municipalità e figlia di Giorgio Improta, arrestato qualche settimana fa con l’accusa di aver favorito la latitanza di Giuseppe Setola, il boss dei Casalesi.
Non sono i soli. Sono più di un centinaio (80 solo al centro storico), infatti, i candidati dei vari partiti che, sebbene in possesso dei requisiti di legge, sono ritenuti “discutibili” dalle forze dell’ordine. La soluzione più logica sarebbe quella di utilizzare etica e buon senso quando si compilano le liste elettorali, anche se questo ci priverebbe della possibilità di eleggere il “nuovo” Nicola Cosentino.
di Luigi Sabino
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