“Mille persone moriranno per ognuno degli 11 imam uccisi”. Le autorità religiose libiche giurano vendetta per il raid di ieri dell'Alleanza su Brega. Secondo il regime, l'attacco avrebbe provocato 16 vittime civili. Per il ministero dell'Interno italiano, la minaccia "non va assolutamente sottovalutata"
La Nato conferma il raid di ieri, ma non le vittime civili. In un comunicato si precisa che obiettivo dell’attacco era un “bunker” che funzionava come “postazione di comando e controllo” delle forze lealiste. “Ci rammarichiamo per la morte eventuale di civili innocenti”, si aggiunge comunque nella nota. “Non è che con un po’ di ‘dispiacere’ ci si lava la coscienza. Il delitto di avere ucciso innocenti rimane – è il commento del viceministro alle Infrastrutture e senatore della Lega, Roberto Castelli -. L’unico modo per dimostrare vero dispiacere è sospendere i bombardamenti. Altrimenti è solo pelosa ipocrisia”.Nella notte, intanto, sei esplosioni sono state avvertite a Tripoli. Secondo il racconto dei testimoni, la capitale era intanto sorvolata da alcuni aerei.
La minaccia degli imam libici arriva anche all’indomani dell’annuncio dei set mandati di arresto per esponenti del regime disposti dalla Corte penale internazionale. A occuparsi dell’istanza preliminare sarà Cuno Tarfusser, giudice all’Aja ed ex procuratore di Bolzano. Il procuratore della Cpi, Luis Moreno Ocampo, nell’annunciare la richiesta ai giudici non aveva specificato i nomi dei destinatari dei mandati, indicandoli solo come “tre persone che sembrano avere la responsabilità maggiore”. Ma secondo alcune fonti potrebbe trattarsi dello stesso rais, Muammar Gheddafi, di suo figlio e del capo dell’intelligence libica. Domani a Tripoli, intanto, per tentare la via diplomatica sarà mandato Abdul Ilah al-Khatib, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia.
In parallelo, proseguono intanto l’azione militare e diplomatica dei Paesi dell’Alleanza. Per il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè, è ancora necessario “intensificare la pressione militare” sul regime, perché “l’unico linguaggio che il rais comprende è quello della forza”. Non si tratterebbe comunque di un’azione a lungo termine, per Juppè, che vede il rais politicamente “finito” ed è convinto che la sua capitolazione sia solo “una questione di settimane”. Un passaggio il ministro lo dedica poi alla linea politica, da perseguire insieme al Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, “riconosciuto come l’interlocutore sempre più indispensabile”. Stessa posizione arrivata dalla Casa Bianca, che ha definito il Cnt “un interlocutore credibile”, dopo l’incontro di ieri sera a Washington tra il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, Tom Donilon, e uno dei leader dell’opposizione libica, Mahmoud Jabril.
E se dagli Stati Uniti viene ribadita la richiesta al Colonnello, di “lasciare immediatamente il potere”, nessuno nell’Alleanza sa ancora dire dove si trovi Gheddafi, dopo i raid degli scorsi giorni a Tripoli. In un messaggio audio diffuso ieri, Gheddafi ha dichiarato: “Sono in un posto dove non potete raggiungermi, i vostri bombardamenti non mi colpiranno perché milioni di libici mi portano nei loro cuori”. Poco prima il ministro degli Eesteri italiano, Franco Frattini, diceva di prendere per buone le parole del vescovo di Tripoli secondo cui il rais sarebbe ferito e avrebbe lasciato la città. Ma monsignor Giovanni Martinelli smentisce: “Mai detto una cosa simile. E’ stata un’affermazione non vera del ministro degli Esteri, con tutto il rispetto che provo per lui”. Il vescovo ha ricordato di aver parlato di un “forte choc” da parte di Gheddafi per la morte di uno dei figli durante un raid della Nato sul suo bunker. E a proposito di attacchi aerei, aggiunge il monsignore, “queste bombe non fanno onore all’Italia”. Servirebbe, conclude, “una tregua per far riprendere fiato alla popolazione civile”.