La curia sapeva tutto. E’ questa la verità più sconvolgente che emerge dalla storia di don Riccardo Seppia, il sacerdote arrestato venerdì sera a Sestri Ponente, nel genovese, con due accuse pesantissime: violenza su minore e cessione di sostanza stupefacente. Almeno tre cardinali e tre vescovi che si sono succeduti ai vertici delle gerarchie ecclesiastiche liguri avevano disposto indagini informali, ma non avevano dato molta importanza alla cosa.

Già ai tempi del Cardinal Tettamanzi la curia era a conoscenza del fatto che in quella canonica si svolgevano feste hard omosessuali. Poi la pratica sulla chiesa del Santo Spirito era passata al successore di Tettamanzi e le voci erano arrivate fino al vescovo di Albenga (Seppia aveva vissuto qualche mese a Giustenice, un comune della provincia di Savona) che lo aveva persino convocato e “assolto”.

Don Riccardo non faceva nulla per nascondersi, questa è la verità, mostrando quasi con ostentazione le sue abitudini sessuali. Mai però era emerso qualcosa che potesse far pensare all’abuso su minori. Ecco il punto cruciale: Dionigi Tettamanzi, Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco avrebbero creduto – come scrive il Secolo XIX oggi – di poter gestire, nel rispetto laico della privacy e all’interno di norme non civili, bensì canoniche, comportamenti che, per chi non è prete sarebbero espressioni di libertà. I reati sarebbero arrivati solo dopo e rappresentano quello che Bagnasco ha evocato come uno “scivolare nel peggio quasi insensibilmente”.

La colpa di chi ha le massime responsabilità in Curia è stata quella di non rendersi conto di quello che stava accadendo a Sestri. E ancora prima c’è la colpa di chi in seminario non ha valutato “inadeguato” al sacerdozio l’aspirante don. E pensare che ad ammettere Seppia a quel ruolo così delicato è stato monsignor Luigi Borzone, oggi pro vicario generale dell’Arcidiocesi, il numero tre della gerarchia genovese. Tutti sapevano e nessuno lo ha fermato.

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