Il presidente Ergogan: "Facebook è orrendo". Ma grazie al social network i cittadini si sono organizzati e sono scesi in piazza al grido di “Internet è nostra e rimarrà del popolo”
Secondo una disposizione dell’autorità per le Tecnologie della comunicazione e l’informazione turche (B.T.K.) dal prossimo 22 agosto i provider locali devono offrire ai navigatori quattro opzioni per collegarsi al web: “Bambini”, “famiglia”, “locale”, “standard”. La motivazione ufficiale è di fare in modo che i più piccoli non finiscano su siti pornografici ma, dalla società civile e dell’opposizione, si denuncia un esplicito tentativo di censura: in Turchia già adesso (e si teme ancor di più in futuro pur scegliendo il filtro “standard”) migliaia di siti sono bloccati senza motivazioni ufficiali, e anche YouTube, dove era stato pubblicato un video ritenuto offensivo nei confronti del padre della nazione Atatürk – l’insulto al generale è considerato un crimine – è stato bloccato per due anni fino alla rimozione del video incriminato.
Il governo appare determinato: afferma – non dicendo la verità–che anche in Usa, Gran Bretagna, Germania e Austria la rete è filtrata, mentre il primo ministro Erdogan, conservatore e leader del partito islamico-moderato Akp, definisce Facebook “una tecnologia cattiva” e i social network “ripugnanti e orrendi” (lui che sul sito blu conta 770 mila fan).
Proprio su Facebook si sono organizzati i cittadini scesi in piazza per dire “no” al filtraggio indiscriminato. Hanno scandito slogan come “Non toccate la mia Rete” e “Internet è nostra e rimarrà del popolo”. Il partito di opposizione socialdemocratico sostiene che il regolamento è “la dichiarazione di morte di Internet in Turchia” e la stampa fa paralleli con le censure di Cina, Corea del Nord e Iran.
In Turchia si vota il prossimo 12 giugno: Erdogan è dato per favorito. Ma sulla censura ad Internet in un paese che vuole entrare nell’Unione, l’Europa avrebbe il dovere di far sentire la sua voce