E’ tutto vero, non è uno scherzo. Politologi ed editorialisti non se lo aspettavano (per questo fanno i politologi e gli editorialisti). E’ stata la tornata elettorale più bella, stupefacente e rassicurante di tutti i 17 anni di lungo incubo berlusconiano (che non sono finiti, ma quantomeno cigolano).
E’ tutto vero, ed è bello. Formigoni che soffre, livido, all’Infedele. Porro che sparge la sua vacua saggezza dermatica da Mentana. Stracquadanio che non sa più chi insultare (nel dubbio, suggerirei se stesso). Berlusconi che non parla. Lady Blackberry Ravetto – ultima del carro – mandata a metà pomeriggio a dire che a Milano “La coalizione tiene se ndrmbltfggcmsmbr nchssnsprmssndiczzzziooooni” (“se andremo al ballottaggio come sembra anche se sono primissime indicazioni)” e poi gira stizzita il culo dritto, come in una pessima cover del Guccini migliore. La Gelmini, sexy giusto in salsa sadomaso agli Sgommati, con una camicia a righe rubata ai saldi dell’Oviesse, zimbellata e irrisa a Sky da un incazzosissimo Cacciari. Quagliariello che fa mirror climbing. Gasparri che fa Gasparri. La Santanchè che, tra una bandiera di Hamas e una mascella al vento, afferma con gli ultimi rigurgiti di ricino che “con Pisapia vincono Leoncavallo e droga” (e gli “spinelli”, parola già vecchia nel ’68, quando le pantere dovevano morderla nel sedere).
E’ tutto vero. Ed è bello. E qualcosa vuol dire.
1. Il Pd stupisce, signoreggia e soverchia quando non fa il Pd. Ma ovviamente non lo capiranno. Latorre Dixit: “Mi sembra chiaro che abbiamo vinto e dobbiamo continuare così” (due errori in un corpo solo: a) non hai vinto, b) continuare “così” come?). Il Pd ha rovesciato le previsioni con candidati indesiderati (Pisapia) o addirittura contrapposti (De Magistris). Se il Pd avesse fatto il Pd, la Moratti e Lettieri sarebbero già sindaci di Milano e Napoli. Si attende una dichiarazione netta di Veltroni, che esorti tutti a prendere le distanze dal giustizialismo. Ispirandosi alla Thatcher, a Cameron e magari pure ai Cugini di Campagna (per il senso di squadra e della coalizione).
2. Può anche essere che questo sia l’inizio della rinascita, ma la lentezza degli italiani resta tristemente insuperabile (e perdere al ballottaggio farebbe ancora più male, quantomeno a Milano – Napoli resta durissima comunque).
3. E’ la vittoria della cosiddetta “antipolitica”. Grillo, Idv e Sel (Pisapia). Che il centrodestra tratteggi questi trionfi come derive eversive verso la sinistra radicale, ci sta (e dona gioia: rosica per noi, Mastrolindo Sallusti). Che la sinistra riformista (ehhh?) continui a usare la parola “antipolitica”, è offensivo per ormai un elettore su dieci (in alcune realtà pure di più).
4. “Berlusconi ha perso, ma il successo di De Magistris e Grillo sposta l’asse del centrosinistra lontano dal Terzo polo che, nonostante il risultato, rimane il naturale approdo della coalizione. De Magistris non è una scelta di governo”. L’ha detto, parola più parola meno, Aldo Cazzullo ieri pomeriggio a La7. Una sintesi politica che mi ricorda, per acume, una frase qualsiasi di Massimo D’Alema.
5. Tra le istantanee della vita, rimarrà a tutti nel cuore l’attimo in cui Letizia Moratti accusa Pisapia di avere avuto amicizie terroriste e perfino una condanna. E nel momento in cui l’ha detto, palesemente “consigliata”, lei che sta alla grinta pugnace come Leonardo Manera alla comicità, abbiamo quasi tutti pensato che aveva impugnato la pistola per spararsi su un piede (poi la metafora della pistola l’ha usata Bersani, è vero, ma ogni tanto anche lui ne indovina qualcuna. Si chiama “Teoria del Caos”. Come quando Seppi azzecca uno smash su venti. Non è abilità: è culo).
6. Espugnare Milano, vorrebbe dire colpire al cuore il berlusconismo. E dai dai dai dai (cit).
7. Gli analisti che provano a spiegare l’exploit di Grillo, mi ricordano i vecchi genitori che provarono ad opporsi alla beat generation e all’avvento del rock’n’roll.
8. L’analisi “politica” secondo cui “Grillo fa il gioco della destra, senza di lui Pisapia avrebbe vinto al primo turno eccetera”, è di una miopia accecante. Oltre che vagamente fascista. Nello specifico:
a) Chi vota Grillo, non voterebbe mai Pd. Ne è lontanissimo. Al massimo, il M5S sottrae voti agli astenuti e, in minima parte, all’Italia dei Valori.
b) Se il Pd perde quando è favorito (Bresso un anno fa), non è per colpa di Grillo. E’ per colpa del Pd.
c) Votare Pd e centrosinistra non è un obbligo regio o un’imposizione divina. Un voto va meritato, non esatto (participio passato del verbo “esigere”). Altrimenti si chiama zdanovismo, stalinismo. O anche solo elucubrazione politico-pensosa di Eugenio Scalfari (e derivati).
d) Oltre al “meno peggio”, qualche volta nella vita può esistere anche il “meglio”.
e) Grillo ha sfondato – in alcuni casi clamorosamente, vedi il 10 percento a Bologna – soprattutto in quelle città dove era scontata la vittoria del centrosinistra, o comunque mancavano nomi credibili. Nelle realtà in cui l’imperativo era dare la spallata a Berlusconi ed erano presenti figure stimabili (Milano, Napoli), è andato benino ma non benissimo. Segno di un voto affatto irresponsabile e, piuttosto, ponderato.
f) Se neanche dopo questa tornata elettorale verrà compresa la portata di un movimento che in alcune realtà (placide: vedi Arezzo) è addirittura divenuto terzo partito cittadino, e tutto questo nonostante il silenzio pressoché totale dei media “canonici”, significherà che giornalismo e politica italiane sono tonte quando va bene e conniventi quando va meno bene.
9) Tuonano, i tromboni: “Ha vinto il voto di protesta“. Sì, ma protestare (democraticamente) mica è un difetto. E’ farlo dopo quasi vent’anni, o non farlo, che è imperdonabile.
10) Tira una bella aria. Soprattutto quando i giornali di regime dicono il contrario. Speriamo duri.