La protesta dell'associazione ambientalista durante il meeting. Gli attivisti hanno bloccato l'ingresso dei rappresentanti delle multinazionali contrarie a ridurre del 30 per cento le emissioni in atmosfera di anidride carbonica
“Le grandi corporation hanno una fortissima influenza sui governi”, ha detto Dimitris Ibrahim, coordinatore della campagna europea sul clima di Greenpeace. “Ma ci sono aziende che assumono lobbisti o usano le associazioni per sabotare gli obiettivi climatici. Le compagnie europee devono scegliere se ritardare la competitività dell’Europa oppure mettersi alla guida di una vera green economy che comprende la riduzione delle emissioni”. E lo hanno già fatto: Google, Danone, Philips e Allianz si sono dette disponibili ad appoggiare l’obiettivo di ridurre del 30 per cento l’emissione in atmosfera di quei gas responsabili dell’aumento della temperatura terrestre.
La lotta ai cambiamenti climatici non solo aiuta l’ambiente, ma, secondo Greenpeace, fa bene anche all’economia: “farebbe aumentare il Pil europeo di 620 miliardi di euro entro il 2020”.
Peccato che non la pensi così Business Europe, federazione che rappresenta 40 associazioni industriali nazionali (tra cui Confindustria), favorevole a restare sul 25%. Ciononostante il mese scorso grandi marchi come IKEA, MANGO e il Gruppo PPR (che include aziende come Puma e Gucci) hanno raccolto l’invito di Greenpeace. Un passo ancora più radicale è stato fatto in questi giorni dalla Gran Bretagna, che ha ufficialmente annunciato di voler abbattere le emissioni di Co2 addirittura del 50% entro il 2025, per poi raggiungere il 60% nel 2030 e l’80% nel 2050. Il ministro per l’Energia e il cambiamento climatico Chris Huhne ha confermato che il governo di Londra si darà da fare per “trasformare in legge nei prossimi mesi le raccomandazioni contenute nel quarto Carbon Budget stilato dal Committee on Climate Change,”. D’altronde il primo ministro David Cameron, appena eletto, aveva garantito che il suo sarebbe stato “il governo più verde mai esistito”.
Intanto a Bruxelles, qualche giorno fa, l’Ecofin (insieme dei 27 ministri Ue delle Finanze) ha proposto di inserire il commercio navale internazionale e il trasporto aereo all’interno del sistema del mercato delle emissioni (ETS), strumento amministrativo utilizzato per controllare le emissioni di inquinanti e gas serra a livello internazionale attraverso la quotazione monetaria delle emissioni stesse ed il commercio delle quote di emissione tra stati diversi. In parole povere, le aziende (ad esempio produttrici di energia e minerarie) che emettono meno Co2 di quanto consentito dalla legge, posso vendere il loro “credito” ad aziende meno virtuose. Secondo i ministri dell’Ecofin, inserire il commercio navale e il trasporto aereo nell’ETS costituirebbe un incentivo economico non indifferente a ridurre efficientemente le emissioni inquinanti”.
L’unico rischio è che anche l’ETS si trasformi ancora più in un business speculativo. Ma a parlarne saranno adesso i ministri dell’ambiente che si riuniranno a Bruxelles il prossimo giugno.