Davide Rondoni contro Francesco Merlo. Avvenire contro Repubblica. Al centro la storia di don Riccardo Seppia, il parroco della chiesa del Santo Spirito di Sestri Ponente, nel genovese, arrestato venerdì 13 maggio con l’accusa di violenza su minore e cessione di sostanze stupefacenti (Leggi la cronaca). Nell’editoriale “Quelle spirali cieche e velenose” comparso oggi sul giornale dei vescovi, l’editorialista Rondoni si scaglia contro “una firma di Repubblica”, un “maramaldo e furbastro”, colpevole di “attivare la macchina del fango” (Leggi l’articolo). Il riferimento è a Francesco Merlo, citato tre volte da Rondoni, ma mai chiamato per nome, che ieri ha scritto un commento sulla vicenda del parroco dal titolo “Il prete orco di Genova e le colpe della Chiesa”.
Cosa sostiene Merlo? “Don Riccardo si è ammalato ed è diventato una povera belva praticando gli insegnamenti sessuomaniaci della Chiesa”, esordisce il giornalista (Leggi l’articolo). “Il prete-lupo don Riccardo mi fa pena perché è il culmine, il punto di non ritorno della sessuo-teologia italiana. Non una mostruosità individuale e occasionale, ma il prodotto terminale di una Chiesa che si rifiuta di vedere ‘la lettera rubata’ che sta davanti ai suoi occhi: il marasma sessuale che c’è tra i funzionari di Dio”, spiega ancora Merlo. Insomma, Seppia è il “figlio sorprendente ma legittimo di una Chiesa sorprendente dove lo scandalo non viene più dall’eresia”, ma “dall’incubo del sesso”.
L’idea che don Seppia possa essere il frutto avvelenato della stessa sessuofobia della Chiesa manda su tutte le furie l’editorialista di Avvenire che tenta un paragone: “Imputare la tremenda e spavalda doppia personalità di don Seppia alla sua educazione cattolica – la medesima che ha formato santi e gente normalissima – sarebbe come imputare la doppia personalità dei coniugi di Erba alle scuole da loro frequentate nel Comasco o addossare la responsabilità delle cose orrende che hanno compiuto alla linea educativa dello Stato italiano che si è occupato della loro formazione da ragazzi”. Che cosa abbiano da spartire due assassini colpiti da un raptus improvviso – i coniugi di Erba – con una persona che sin dalla giovinezza viene segnalata come “morbosa” dal sacerdote suo superiore e che per questo lo segnala a una Curia del tutto indifferente (Leggi la cronaca)?
Non solo Merlo usa una “vicenda pietosa per i suoi attacchi fangosi, ma “osa tirare in ballo il cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei” e “osa evocare il suo ruolo di padre e di maestro in quella città e in quella Chiesa capovolgendolo ignominiosamente in quello di istruttore alla dissimulazione e all’ombra complice e omertosa”, scrive Rondoni. In realtà Merlo si chiede quello che si chiedono tutti: come è possibile che don Riccardo non sia stato fermato prima viste le segnalazioni sulla sua attività? Come scrive il giornalista di Repubblica: “Non c’è un solo prete pedofilo che sia stato denunziato dalla Chiesa alla magistratura, consegnato dalla Chiesa alla polizia”, ma sempre dopo, una volta che le cose sono già accadute. E “dopo, spiace dirlo, la reazione dolente e tuonante si porta sempre il sospetto della coda di paglia, la paura-coscienza di essere corresponsabili di quel reato che altri hanno scoperto”.
Se poi all’interno delle pagine di Avvenire si trovasse un solo accenno di cronaca alla vicenda di don Seppia forse i lettori del quotidiano saprebbero di cosa la loro illustre firma sta parlando.