Neppure di prove tecniche di dialogo, si parla tra Lega Nord e Pdl a Bologna. Se a Roma si tenta di ricucire dopo gli strappi elettorali del 15 e 16 maggio (l’esito dell’incontro di oggi tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi si è chiuso con “è andato bene, ma serve un cambiamento e basta incidenti”), nel capoluogo emiliano è guerra a distanza.
Una guerra caldissima, in base alle parole di Manes Bernardini, che accusa esplicitamente il Pdl di aver ignorato, se non proprio boicottato, la sua candidatura a sindaco. E non contento chiede la testa di Filippo Berselli, senatore e coordinatore regionale per l’Emilia-Romagna del Popolo della Libertà, in un’opera di rottamazione della vecchia classe dirigente del centro destra.
Dal canto suo, Berselli, preferisce la strategia della guerra (quasi) fredda, ricorrendo a toni dal sapore paterno nei confronti del candidato sconfitto di Lega e Pdl alle comunali di Bologna. Ma a tratti – manco si fosse in una Baia di Porci trasferita sulle rive del Reno – alza lo scontro e abbandona l’accondiscendenza verso quella testa calda del giovane Manes. E dunque addio, per adesso, a qualsiasi forma di confronto diretto.
“No comment”, esordisce il senatore Pdl di fronte alle parole di Bernardini. “Non innesco polemiche e non rispondo a polemiche con polemiche. Io, almeno, questo non lo faccio. Del resto il candidato leghista sarà rimasto amareggiato dal risultato elettorale e starà cercando di scaricare su altri responsabilità che non competono loro. È comprensibile”.
Sarà. Magari Bernardini è davvero alla ricerca di un capro espiatorio all’interno del centro destra e individua nel Pdl, accusato di non averlo sostenuto abbastanza e con sufficiente anticipo, il responsabile della sconfitta nel capoluogo emiliano. Ma dove stanno allora le responsabilità di un risultato così diverso rispetto alle attese?
“Non ci sono responsabilità”, risponde Berselli alludendo a una presunta ineluttabilità della vittoria del centro sinistra in una terra che sempre è stata rossa. Come con i mulini a vento, ad ascoltarlo, sembra quasi che un destino già scritto abbia stabilito ex ante il risultato delle urne. Indipendentemente dalla caratura dei contendenti. “Vincere a Bologna, per me, è un’impresa difficilissima. Bernardini ha fatto quello che poteva fare. Non vado in giro a dire che ha sbagliato la campagna elettorale. Probabilmente chiunque altro al suo posto avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Virginio Merola ha vinto con il 50,4 per cento? Ma ipotizziamo che prendesse invece il 49,8. Cosa sarebbe cambiato nella sostanza? Niente”.
Ok, Bernardini si è battuto con onore contro un risultato che difficilmente avrebbe potuto essere diverso, secondo turno o meno. Ma come dimenticare che, da ben prima della designazione del candidato leghista a rappresentare anche il Pdl, si respirava un po’ aria di notte dei lunghi coltelli, per quanto in termini (quasi sempre) soft? Non è forse vero che il Carroccio andava alla ricerca di un ribilanciamento all’interno della compagine politica che, a livello nazionale, fa parte della maggioranza di governo?
“Bernardini pensava probabilmente di superare il Popolo della Libertà”, ammette il senatore. “E non c’era solo lui a crederlo: molti leghisti a Bologna erano convinti che con il trascinamento di un loro candidato, sarebbe stato possibile erodere consensi al Pdl. Devono aver ritenuto di poter bissare quello che accadde due anni fa a Bondeno dove la Lega riuscì in questa operazione”.
Nel 2009, infatti, al motto di “occupiamo l’Emilia”, il popolo del senatur aveva fatto sudare freddo gli alleati. Alle comunali di Bondeno – provincia di Ferrara – la Lega Nord si era aggiudicata il 24,3 per cento dando quattro punti di distacco al Pdl. “Le nostre ‘basse’ si leghistizzano sempre di più”, scrivevano ai tempi sui loro blog gli esponenti locali del Carroccio. Ma se le “basse”, termine per designare la pianura più piatta delle province emiliane, avevano approfittato di un’alchimia politica a suon di anatemi contro l’immigrazione, a Bologna il gioco è stato diverso.
Certo, le campagne anti-stranieri non sono mancate (lo slogan “prima i bolognesi” ha scandito fin dall’inizio la corsa a Palazzo d’Accursio degli uomini di Umberto Bossi). Ma i panni sporchi del centro destra sono stati lavati sulla pubblica piazza fin dall’inizio tra dichiarazioni di reciproca diffidenza, mantenimento dei simboli e indisponibilità al compromesso su candidati e programmi.
Risultato? “Da un lato confidavano nel sorpasso”, dichiara ancora Berselli, “e dall’altro Manes Bernardini aveva la certezza di andare al ballottaggio e a quel punto riteneva di avere l’opportunità concreta di vincere. Invece nessuna delle due aspettative si è realizzata. È quindi chiaro che lui e i suoi compagni di partito coveranno una profonda amarezza che sfogano contro il Popolo della Libertà. Ma io li lascio sfogare: ripeto, non vado a rispondere con polemiche alle polemiche”.
Fosse tutto qui, però, basterebbe attendere che la freschissima ferita elettorale smettesse di bruciare. Invece Bernardini, nelle ore successive alla proclamazione a sindaco di Merola, aveva già assunto il ruolo del rottamatore di centro destra ponendo in cima alla lista dei personaggi da pensionare proprio quello del senatore del Pdl. Il quale risponde sarcastico: “Che Bernardini si ponga in tale veste ci fa ridere perché è paradossale. Ma pensa davvero di poter rottamare il Pdl e i suoi leader storici? Ognuno ha i suoi problemi. Meglio che ognuno pensi ai propri senza voler mettere le mani in casa d’altri”.