Nel 2006 l’allora presidente russo ordinò ai suoi di rallentare le forniture a Teheran chiamando in causa presunti problemi tecnici. A rivelarlo, secondo il quotidiano israeliano Yediot Aharonot, un cable riservato finito negli archivi di Julian Assange
La vicenda chiama in causa il programma di costruzione della centrale atomica di Bushehr, inaugurata dall’Iran nel 2010 ma tuttora non operativa. All’epoca dei fatti, la Russia stava cooperando alla realizzazione dell’impianto che, ufficialmente, avrebbe dovuto essere dedicato allo sviluppo dell’energia nucleare per scopi civili. Una versione che da sempre stenta a convincere larga parte della comunità internazionale. Nel 1995, Teheran e Mosca siglarono un’intesa che impegnava quest’ultima a fornire carburante e assistenza tecnica. I russi, si scoprirebbe oggi, rispettarono il programma ma di fronte alla crescita della tensione internazionale accettarono di rallentare consapevolmente la realizzazione del progetto.
Nel corso di una conversazione con Jones, avvenuta nel febbraio 2006, Frank avrebbe rivelato di aver preso parte a una serie di incontri segreti con alcuni alti ufficiali dell’apparato di sicurezza e di spionaggio della Federazione Russa tra i quali il ministro della difesa Sergei Ivanov, il suo collega degli esteri Sergei Lavrov e il numero uno della Russian Atomic Energy Commission, Sergei Kiriyenko. Sarebbe stato quest’ultimo, sostiene Yediot Aharonot, a rassicurare Frank circa la volontà di Mosca di rinviare la consegna del materiale al reattore di Bushehr e di non rifornire il medesimo di carburante. La Russia, avrebbe aggiunto Kiriyenko, avrebbe deciso allora di giustificare i ritardi chiamando in causa presunti problemi tecnici. Ad ordinare in segreto l’operazione di sabotaggio, avrebbe ammesso il funzionario, sarebbe stato il presidente Vladimir Putin.
Se le indiscrezioni dovessero trovare ulteriori riscontri, verrebbero così ad aggiungersi ulteriori dettagli attorno alla storia dell’evoluzione della politica estera russa nei confronti dell’Iran che, negli ultimi anni, ha visto Mosca protagonista di un progressivo raffreddamento nelle sue relazioni con la Repubblica islamica. Non è un mistero, per altro, che il perseguimento del programma nucleare iraniano abbia destato nel corso del tempo preoccupazioni crescenti non solo in Occidente. Nel settembre del 2009, il quotidiano britannico Daily Telegraph rivelò l’esistenza di un accordo segreto tra Arabia Saudita e Israele che prevedeva la concessione dello spazio aereo all’aeronautica militare di quest’ultimo in caso di operazioni di bombardamento dell’impianto nucleare situato nei pressi di Qom, nell’Iran centro-settentrionale. Riad smentì seccamente ma circa un anno più tardi, un cable di Wikileaks portò addirittura alla luce una richiesta di attacco a Teheran avanzata agli Stati Uniti niente meno che dal capo di Stato saudita re Abdallah e rivelata dal suo ambasciatore a Washington Adel al-Jubeir.
Al programma atomico iraniano, per altro, non sono mancati negli anni significativi appoggi internazionali, per quanto magari parziali e non ufficiali. Nello scorso ottobre, citando una fonte anonima dell’amministrazione statunitense, il Washington Post parlò di una lista nera redatta dagli Usa con i nomi delle imprese cinesi responsabili, in violazione dell’embargo Onu, di aver rifornito Teheran di tecnologia per lo sviluppo dei sistemi missilistici e del suo programma nucleare. All’epoca, comunque, non si escluse che le imprese coinvolte potessero aver agito di nascosto all’insaputa del loro governo. Dopo le rivelazioni del quotidiano Usa, Pechino ribadì ufficialmente la correttezza del proprio comportamento ma non negò la possibilità che qualche fornitore avesse violato le regole.