Cultura

Un anno di lotta per l’università pubblica

“Sono le parole più silenziose quelle che portano la tempesta”, scriveva Friedrich Nietzsche. E’ dalle parole silenziose che nascono l’oppressione e la rabbia, la malattia e la vendetta. Solo quando la parola si libera e si scrolla di dosso la disciplina e l’omertà, l’intelligenza collettiva si rilassa e si dispiega in tutta la sua bellezza. Stavo pensando questo mentre leggevo la curatela di Bruno Maida Senti che bel rumore. Un anno di lotta per l’università pubblica (Accademia University Press).

La curatela di Bruno Maida è un lavoro polifonico che include interventi di studenti, ricercatori precari e ricercatori strutturati di vari settori disciplinari. Tutti gli interventi insieme offrono una cronaca delle dinamiche che hanno portato lo scorso autunno alla mobilitazione del general intellect delle nuove generazioni contro le politiche della d/istruzione e dell’austerità in Italia.

Non mi voglio soffermare sulle singole testimonianze. La forza del testo è la capacità di fermare nel tempo quanto è avvenuto lo scorso autunno attraverso ricostruzioni soggettive che ricordano il ruolo del web, delle assemblee, della fantasia nel restituire passione alla conoscenza. Lorenzo Zamponi ripercorre i giorni della protesta, le occupazioni della Torre di Pisa, del Colosseo a Roma, della Basilica di Sant’Antonio a Padova. Tiziana Nazio mostra le immagini delle piazze gremite di studenti proiettate all’imbrunire sulla Mole Antoneliana.

Tornano alla mente il 14 e il 22 dicembre, il lavoro incessante degli indisponibili, la volontà coraggiosa degli studenti di affiancarsi ai quartieri invisibili e lasciare il potere arroccato nella sua miseria. Torna alla mente la sensazione sublime di un incalzare di sincronia nelle azioni di tutte le singolarità attive.

La verità crea spazio, scriveva Foucault, e infatti la parola che si ribella crea continuamente nuove possibilità di espressione, a mostrare quanto il regime di oblio e di controllo in cui viviamo reprima ciò che di più vibrante le nostre sensibilità immaginano. In quei giorni la conoscenza sembrava essere ritornata movimento, capacità della vita di espandersi. In questi giorni, mano a mano che si avvicina il referendum del 12-13 giugno, si presenta innanzi a noi la rigidità del sapere morto.

Penso a chi ha confuso la fissione dell’atomo con la cosiddetta “scomposizione delle cellule”, penso agli scienziati che hanno definito l’energia del vento come “una frode”. Stride lo scarto tra un sapere al guinzaglio di priorità private e una conoscenza etica che è anzitutto desiderio di divenire comune. Il testo di Bruno Maida fa questo: dà parola a coloro che vivono la conoscenza come desiderio di espressione e di cambiamento. Ricorda che ognuno ha forza di parola e di verità.

Diversi mesi sono passati dallo scorso autunno e certamente la riforma dell’istruzione è oramai legge e lo stato politico ed economico di questo paese è grave. Ma tutti ci rendiamo conto che l’aria sta cambiando. Lo dicono le nuove generazioni della primavera araba, lo dicono i risultati delle elezioni amministrative. Lo dice questo libro, che ricorda che anche nei momenti di riflusso la parola silenziosa scava come una talpa e costruisce tunnel, strade, relazioni. Scava la parola e regala eredità ed ispirazione. Indomita nel suo desiderio vivo di non fermarsi fino alla felicità.

di Francesca Coin