Esattamente venti anni fa, in occasione di un famoso referendum, c’era chi invitava a andare al mare anziché votare. Qualche sera prima in piazza San Carlo a Torino in un grande concerto aperto, gratuito, Francesco De Gregori invitava a fare il contrario. Un bel concerto, una delle poche occasioni live, credo, in cui tra l’altro De Gregori non faceva l’antipatico, anzi: parlava col pubblico, lasciava che la gente cantasse insieme a lui.
Il concerto andò bene.
Anche il referendum.
Più gente andò a votare di quanta fosse andata al mare, nonostante i richiami quasi irridenti di un certo Craxi e di un certo Bossi.
La faccenda mi torna in mente ora, che neanche più si prendono la briga di dirci di andare al mare il prossimo 12 giugno.
Non ci dicono niente, o il meno possibile. Perché dirci di non andare a votare, richiama comunque la parola voto, e certe parole si sa sono pericolose, rimandano alla mente strane idee, associazioni deleterie (voto? … diritto di voto? … diritto?), concimano deprecabili abitudini. Meglio niente, meglio tacere.
Comunque.
Nel caso il passaparola sotterraneo insistito telematico riuscisse a avere la meglio sul meglio niente, meglio tacere; nel caso, a dispetto dell’oblio mediatico, ciascuno di noi faziosi referendari, riuscisse a far sapere cosa succede il 12 giugno 2011 al vicino di casa che non sa cos’è internet (una squadra di calcio?) e che per dire no-global dice sglobal, o a ricordare alla vecchia zia che succede qualcosa anche prima, dopo e durante la programmazione di Retequattro e Italiauno.
Se riusciamo, insomma, a comunicare non solo tra noi che non abbiamo bisogno di essere convinti, c’è il rischio che tornino a dirci di non andare a votare, di andare al mare. Non c’è più quel grande statista di Craxi, ma Bossi è più che mai sulla breccia, e il simpatico Bettino ha trovato degni eredi, non solo tra i consanguinei.
Allora, bisogna inventarsi situazioni, eventi, occasioni che invoglino il vicino di casa e la zia, il cognato disimpegnato e i genitori dei compagni di scuola dei masnà, la collega indaffarata e il cugino camperista, a restare nei paraggi del seggio elettorale, nonostante il 12 giugno 2011, come già il 9 giugno 1991, si presti così bene alle gite fuori porta.
E quindi: Torino per me è vicina, ma troppo grossa e poi non ho il cellulare di De Gregori; però nel nostro piccolo, nel minuscolo paese in cui mi capita di abitare, abbiamo pensato di creare un presidio, in un giardino pubblico, e di trovarci e di invitare tutta la comunità a trovarsi per esercitare funzioni essenziali a una vita sana, sia a livello individuale che collettivo. Che si fa? Si mangia, si beve, si vota. L’abbiamo chiamato buffet referendario. Si porta da mangiare, da bere (rigorosamente vino, birra e acqua del rubinetto) e si va a votare (per l’acqua del rubinetto).
Semplice e divertente.
Inviterei tutti a venire a mangiare con noi sotto l’ippocastano, ma gli spazi sono quel che sono e soprattutto cesserebbe lo scopo: ognuno faccia il suo buffet referendario, ognuno scenda in strada, nei giardini, nelle piazze a prendersi (o a riprendersi) ciò che è (o era) già suo. Mangiare, bere, votare.
Oppure ci si rivede tra vent’anni al referendum sulla privatizzazione dell’aria.