E’ finito il campionato italiano di calcio.

La vittoria del Milan di Allegri, che ha avuto il coraggio di adattare i moduli di gioco alle forze di partita in partita a sua disposizione.
Le lacrime di Palombo che chiede scusa a uno stadio intero.
L’ultimo della famiglia Sensi da presidente della Roma.
La delusione Juventus.
Il Cesena e il Lecce che si salvano anche perché hanno avuto il coraggio di non cambiare allenatore in corsa, a differenza di Bari, Brescia e Sampdoria che invece lo cambiano e retrocedono.
Ranieri, che non meritava il trattamento ricevuto da giocatori e tifosi.
I trenta tifosi della Roma a Catania, malgrado prima della partita ci fosse ancora la speranza del quarto posto, e le centinaia di tifosi della Sampdoria a Roma, malgrado prima della partita la retrocessione fosse ormai matematica.
Benitez che paga colpe non sue.
Il Chievo, che continua la sua favola bella.
Di Natale, Cavani e Ibrahimovic.
La Lazio e l’Udinese che stupiscono fino in fondo.
Totti che segna ancora.

Ognuno scelga tra questi o tra mille altri il motivo per cui valga la pena ricordare questo assai mediocre campionato appena concluso.

Io lo ricorderò per sempre per il bambino con la poltroncina. Sì, quel bambino, intorno ai dieci anni, immortalato durante Bari-Lecce, da solo, una decina di file più giù del gruppo di tifosi baresi della curva, ad agitare una poltroncina dello stadio sradicata da chissà chi e poi, con la rabbia di chi ha perso, a gettarla in direzione dei tifosi avversari.

Una fotografia da guardare in assoluto silenzio.

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