Yulia Tymoshenko è stata arrestata e accompagnata in tribunale dalla polizia su ordine della corte distrettuale di Pechersky. A riferirlo è stato lo stesso partito della pasionaria della Rivoluzione arancione. Il vice-procuratore di Kiev, Renat Kuzmin ha precisato che si tratta solo di un interrogatorio coatto e che la Timoshenko verrà liberata dopo esser stata sentita nell’ambito dell’inchiesta che la vede accusata di abuso d’ufficio legato ai contratti per la fornitura di gas russo nel 2009.
“Appena terminato, potrà tornare a casa”, ha assicurato anche il procuratore generale Oleh Puskar, citato dal giornale Kyivpost. L’arresto, ha spiegato, è stato necessario perché la leader dell’opposizione “stava boicottando le indagini” non avendo risposto alle precedenti convocazioni.
“Succedono strane cose”, ha commentato al Kyivpost un amico della Tymoshenko, Hryhory Nemyria, “Per la prima volta è stato vietato ai parlamentari, allo staff di sicurezza e alla stampa di entrare con lei nell’ufficio del procuratore”.
La Timoshenko è diventata oggetto di tre inchieste dopo il ritorno alla presidenza del suo nemico Viktor Ianukovich, che lei continua ad indicare come ispiratore di una “persecuzione giudiziaria” per impedirle di fare opposizione e di partecipare alle elezioni parlamentari del prossimo anno.
L’ultimo filone riguarda la firma a Mosca con il premier russo Vladimir Putin, nel gennaio del 2009, del contratto per la fornitura di metano russo all’Ucraina, dopo una guerra del gas di due settimane che lasciò al freddo mezza Europa. L’allora premier Timoshenko, secondo l’accusa, avrebbe accettato un contratto svantaggioso per il suo Paese, con un danno di oltre 1,5 miliardi di grivnie (131 milioni di euro)
Il 15 dicembre scorso, invece, la procura generale le ha imposto l’obbligo di residenza nell’ambito di un’inchiesta nella quale è sospettata di essersi appropriata di fondi stanziati per il protocollo di Kyoto.
Lo scorso maggio, infine, ‘Iulia’ era finita nel mirino anche di un’altra inchiesta con l’accusa di tentata corruzione della Corte suprema per aver provato nel 2003 a versare una tangente allo scopo di liberare alcuni suoi vecchi collaboratori.