Ci credevano talmente poco che non si sono votati neppure loro. A Milano è’ il Popolo delle zero preferenze. Una schiera di candidati-fantasma che nel giudizio uscito dalle urne certifica il terremoto del centrodestra e lo colloca ben prima dei manifesti di Lassini, delle sparate di Berlusconi sui giudici e dell’exploit della Moratti su Pisapia-ladro. Quello zero, accanto a 93 nomi sparsi nelle liste di appoggio alla Moratti, testimonia che tutte quelle vicende sono effetti del tracollo, non le cause. Perché il cortocircuito è avvenuto prima, quando il Pdl non aveva neppure chiuso liste e candidature. Basta una ricognizione attenta tra il migliaio di candidati in corsa per Milano per scoprire quante persone si siano messe in lista senza incassare neppure un voto. La nonna non li ha votati, la mamma neppure. Perfino loro stessi si sono evitati la briga di scrivere il proprio nome sulla scheda elettorale. Ma questi signori almeno sapevano di essere candidati? Questo il dubbio che viene a guardare i numeri del fenomeno. Che ci fosse un buon numero di liste “civetta”, cioé costruite a tavolino per creare un cuscinetto d’appoggio alla Moratti, si sapeva da tempo. Ma il “Popolo delle zero preferenze” tradisce anche la fretta e l’approssimazione dell’operazione arraffa-voti.

Finora tanto si è scritto degli “impresentabili”, eroi negativi cui è affidato il compito di rastrellare i voti del peggio (del peggio). Vero è che le ‘ndrine che sono entrate in lista con il Pdl hanno fatto passi da gigante in città. L’esponente dell’estrema destra Marco Clemente a colloquio con un boss diceva “speriamo muoia come un cane” di un negoziante che si rifiutava di pagare il pizzo. Ciononostanete ha portato in dote a Letizia Moratti 458 voti, sicuramente di più di diversi “decani” di palazzo e fedelissimi come Claudio Santarelli (440 voti) e Colombo Carola (249). Pure Roberto Lassini, l’autore dei famigerati manifesti anti-procure, ha portato la sua dote a Letizia con 876 voti. E ne vale 1.600 un altro semi-impresentabile come Marco Osnato, dirigente Aler e genero di Ignazio La Russa, indagato per una vicenda di appalti pilotati.

Se gli “impresentabili” sono andati benino, chi sono e perché hanno fatto flop i cugini meno famosi, gli “invotabili”? Intanto, per inquadrarli come popolo, c’è da capire quanti sono e dove si collocano. Perché sono tanti, tutti – si può dire – nella fila del Pdl. Lo dicono i numeri di un’analisi fatta candidato per candidato, preferenza per preferenza. Compattando tutti quelli che nelle liste di appoggio alla Moratti hanno preso zero voti si arriva alla cifra monstre di 93 su 576, in percentuale il 16,1. In pratica un quinto dei candidati del Pdl non ha preso neppure una preferenza, non se le è filato proprio nessuno. E non solo perché evidentemente sono candidati privi di un seguito elettorale qualsiasi, perfino tra amici e parenti, ma anche perché neppure loro si darebbero un voto. E infatti non si sono votati. Campioni in questo gioco sono quelli de La Destra di Storace. Su 48 candidati circa la metà (21 per esattezza) è andato in bianco. Neppure una preferenza. E dire che proprio Storace aveva denunciato le analoghe mosse del Pdl in Molise… E dall’altra parte? La riprova che il fenomeno dei numeri zero sta a destra è proprio l’esigua quantità di candidati “farlocchi” presenti nelle liste di centro-sinistra.

Nessuno nel Pd, Sel, Milano Civica per Pisapia, Sinistra per Pisapia ha seminato candidati fantasma e raccolto zero voti. Due se ne contano nelle fila dell’Idv, uno tra i radicali di Emma Bonino, due nella lista di Milly Moratti. La partita degli invotabili tra centro-destra e centro-sinistra finisce 93 a 6, in percentuale il 16,1 per cento contro l’1,5. Nel Terzo Polo nessuno zero mentre la lista Casini Libertas Unione Centro ne ha avuti tre. Ma poteva andare decisamente peggio. Il numero di invotabili poteva essere anche più alto di così se non ci fosse stato quel decreto Milleproroghe che ha ridotto da 60 a 45 i consiglieri e da 16 a 12 gli assessori. Ma allora cosa c’è alla base del fenomeno? Come al solito, una regola aggirata all’ultimo con espedienti di fortuna. La vicenda delle firme false per la lista di candidatura a sostegno di Roberto Formigoni ha reso l’Italia intera avvezza ai meccanismi di presentazione delle liste. Ora gli invotabili spingono chi vuole capirci qualcosa a ragionare del numero minimo e massimo di candidati. Perché il regolamento che disciplina la presentazione delle liste dice anche che per l’ammissione devono esserci fino a un massimo di 48 candidati e un minimo dei 2/3 di 48. Un numero evidentemente difficile da raggiungere in soggetti apparentemente civici, magari dai nomi strampalati come possono essere “I popolari di Italia Domani”, “Io amo l’Italia, Io amo Milano” o “Giovani per l’Expo per Letizia Moratti”. E allora ecco che una serie di militanti, simpatizzanti e di persone qualunque è stata presa e cooptata nella lista. Una firma per presa visione della tutela della privacy, una per il certificato di presentazione della lista. Basta, non serve altro. L’impegno è finito qui. Non ci sono banchetti, volantini, manifesti, atti di presenza o foto di gruppo. Così è la strana, breve e spensierata vita dei candidati invotabili. Quasi tutti votati a Letizia Moratti.

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