Non datelo per malato terminale. Men che meno per morto. Silvio Berlusconi ha messo in conto, forse per scaramanzia, la sconfitta a Milano e una debaclè a Napoli (è vero che Pisapia è comunista, ma De Magistris è un ex magistrato), ed è preoccupato per una balcanizzazione del partito ormai senza più freni e sa bene che il Quirinale non vede l’ora di riceverlo per firmare le sue dimissioni. Una “congiura” che per lui è solo benzina. E, infatti, si sta organizzando per “risorgere”, ma stavolta senza portarsi dietro le tante “sanguisughe” che in questi anni si sono arricchiti di denaro e potere vivendo, sussiegosi, nella sua ombra. Insomma, dopo le Forche Caudine dei ballottaggi, Silvio tornerà “più forte che prima”. Con un partito nuovo di zecca. E una nuova leadership. La sua, ovviamente. Solo in questo modo, immagina, potrà tenere testa all’attacco che, probabilmente, gli arriverà fin da subito dalla Lega non appena sarà conclamata la sconfitta di Milano. Non sarà facile, ma lui ha davvero tanto da difendere, oltre se stesso.
I lavori sono già in fase avanzata. Berlusconi, d’altra parte, aveva già cominciato a parlare di un nuovo nome e simbolo del partito già dopo il 14 dicembre, quando s’immaginava di avere davanti a sè tutto il tempo necessario per riorganizzare le fila del Pdl in modo sempre più territoriale, con sezioni in ogni quartiere di ogni città capoluogo di provincia. Con lui sempre i giovani, “promotori delle libertà” organizzati dalla Brambilla e indottrinati da Denis Verdini. Poi, però, il bunga bunga, la bocciatura del legittimo impedimento e la ripresa dei processi, nonché la crisi interna al centrodestra che ha costretto a lavorare per avere i numeri per poter governare con tranquillità, lo hanno inevitabilmente sottratto allo studio del nuovo “predellino”.
Ora, però, il tempo stringe; il prossimo appuntamento sono le elezioni politiche che Silvio Berlusconi, realisticamente come tutti gli altri leader di partito, intravede per la prossima primavera, non certo nel 2013. Ecco, dunque, che dai cassetti di via dell’Umiltà sono stati rispolverati i bozzetti dei simboli e i gli appunti sui nuovi nomi. Ed è ripartito il brain trust per trovare, soprattutto, quello slogan vincente che possa far dimenticare a un elettorato moderato evidentemente stanco dell’immagine del partito (ma soprattutto di quella del suo leader) di “ritrovarsi sotto un unico tetto – ha spiegato durante l’ufficio di presidenza di mercoledì Berlusconi – che dopo il tradimento di Gianfranco Fini non hanno sentito più tanto sicuro”.
L’idea del Cavaliere è quella di rifondare il partito partendo dalla base territoriale dell’elettorato, creando tante piccole sezioni capillari “anche nei condomini”, che diventino “dei punti di riferimento per le famiglie un po’ come lo sono le parrocchie”. Sul reclutamento non ci sono dubbi; le sezioni dovranno essere animate da “giovani, più giovani sono meglio è per dare l’idea “di un partito dinamico perché senza strutture”. Solo a livello regionale, ipotizza Berlusconi, ci potranno essere dei coordinatori con il compito di sorvegliare e riferire “sull’andamento dei tesseramenti e sulla penetrazione dei messaggi politici”. Dopo di che, il nulla. Solo lui, Silvio. Niente più sovrastruttura del partito, spazzati via i coordinatori nazionali, eliminata ogni catena di comando che poi, come si è visto, è fonte solo di guai e di litigi. Accanto a Berlusconi ci potranno essere uno, al massimo due vice presidenti, che però avranno solo un potere consultivo, non decisionale.
La linea politica, insomma, la indicherà solo ed esclusivamente Silvio. “Si deve tornare allo spirito pionieristico del ’94 – avrebbe spiegato lo stesso Berlusconi ad alcuni suoi stretti collaboratori – per dare il segnale al nostro popolo che stiamo ricostruendo la vera casa dei moderati e che proprio perchè crediamo nella libertà personale, non ci lasceremo mai convincere a rifare un partito di stampo novecentesco, capace solo di creare potentati ma lontano dalla gente che ci vota”. Del nuovo partito e del suo lancio, il Cavaliere ne ha parlato a lungo con Scajola, il suo uomo macchina di sempre che anche in questo caso potrebbe tornare di nuovo accanto a lui nella fase di costruzione del nuovo partito. La fretta di Berlusconi sta nel trovare al più presto un nuovo simbolo e un nuovo nome perchè è ormai conscio (ma sono soprattutto i sondaggi dell’operosa Ghisleri ad averlo convinto in questo senso) che nell’immaginario dell’elettorato di centrodestra, la sigla Pdl è squalificata, simbolo di divisioni e tradimenti (pesa ancora quel “che fai, mi cacci?” urlato da Fini nell’Auditorium della Conciliazione) e, tra pochi giorni, anche sinonimo – forse – di sconfitta epocale a Milano.
Tutto questo “lutto” deve sparire al più presto. Già, ma quando? Appena superati i ballottaggi, la nuova macchina elettorale berlusconiana comincerà a scaldare i motori. Già martedì è previsto a Roma un nuovo ufficio di presidenza del Pdl. All’ordine del giorno l’analisi del voto ma anche – e soprattutto – il probabile annuncio della svolta. Il giocare d’anticipo, infatti, potrebbe prendere in contropiede tutti quelli che adesso, nel partito, giocano allo sfascio nella speranza di poter lucrare – elettoralmente parlando – sulle ceneri di quel che ne resta. Il primo nella lista dei “cattivi” è Gianfranco Miccichè. Lo minaccia da tempo, ma dopo i ballottaggi potrebbe mettere in pratica la creazione di un suo autonomo gruppo parlamentare, al pari di come meditano di fare gli ex An anti La Russa (Matteoli e Augello), anche per recuperare Adolfo Urso e Ronchi che, diversamente, non lascerebbero volentieri il terzo polo. Eppoi c’è Alemanno. Trattato come un ragazzino a cui si può raccontare qualunque cosa, il sindaco di Roma si aspetta (ma aspetterà invano) di portare a casa un voto parlamentare che seppellisca per sempre la pazza idea della Lega di portare i ministeri al nord. E quando si accorgerà che il tempo dell’infanzia è trascorso e che le promesse di Silvio son come quelle di Pinocchio, è probabile che anche lui dia vita ad una scissione che potrebbe trovare sponda parlamentare per i suoi proprio nel gruppo di Altero Matteoli. Tutto questo per il Cavaliere non è ulteriormente tollerabile. “Bisogna rifondare il partito – ha chiuso Berlusconi l’altro giorno con Claudio Scajola – anzi, rifondare no, che fa comunista, limitiamoci a dare la vita a questa nuova entità politica”. Manca solo il soffio del Creatore e siamo a posto.