Dopo Radovan Karadzic, la polizia serba ha arrestato uno degli ultimi carnefici della guerra di Bosnia: Ratko Mladic, 69 anni, il capo militare della repubblica serba di Bosnia, ideatore dell’assedio di Sarajevo e del massacro di Srebrenica. “Sono felice di aver vissuto abbastanza da aver visto l’arresto di Mladic, non merita altro che di finire i suoi giorni in galera”, commenta Munira Subasic dell’associazione ‘Madri di Srebrenica’. Latitante dal 1996, sulla sua testa pendeva un mandato di cattura internazionale per le accuse di genocidio e crimini contro l’umanità. L’annuncio ufficiale è arrivato dal presidente serbo Boris Tadic, dopo le cautele delle ore precedenti. In mattinata, le tv locali riportano l’arresto di un uomo, un certo Milorad Komadic, ipotizzando che in realtà possa trattarsi di Mladic. Le conferme dei media e di un amico di famiglia dell’ex capo di stato maggiore rincorrono il silenzio delle autorità, che hanno subito sottoposto l’arrestato alle analisi sul Dna. Tadic non ha aggiunto nessun particolare sulla dinamica dell’arresto, ma le tv bosniache riferiscono di un veloce blitz nel villaggio di Lazarevo, a 80 chilometri a nord-est di Belgrado. Mladic, che si trovava a casa di un parente, non avrebbe opposto resistenza. Gli abitanti intervistati hanno raccontato di non averlo mai visto nel paesino e che l’abitazione era stata più volte perquisita in passato. Alcuni hanno aggiunto che, anche se l’avessero visto, non l’avrebbero mai denunciato. Per la sua cattura il governo statunitense aveva offerto una taglia di 5 milioni di dollari e un altro milione era stato offerto dalle autorità serbe. Adesso verrà estradato, ma per l’operazione potrebbe passare anche una settimana.

“Penso che per la Serbia le porte dell’Ue siano ora aperte”, ha dichiarato il presidente. L’arresto dei criminali di guerra è sempre stata, infatti, una condizione necessaria posta dall’istituzione europea per accettare la candidatura del Paese. Quello dell’ex capo di stato maggiore è considerata “una prova convincente degli sforzi della Serbia e della sua cooperazione con il tribunale penale internazionale (Tpi)” per il presidente del Parlamento Ue, Jerzy Buzek. “Un test di grande maturità democratica” del Paese, secondo il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini. Negli anni scorsi non erano mancate le polemiche. Nel 2005, dopo le dichiarazioni di un sottufficiale disertore dell’esercito, voci mai provate affermavano che le autorità bosniache stessero trattando con lo stesso Mladic la sua consegna al tribunale internazionale dell’Aja. L’anno dopo, tra Ue e Bosnia era scontro: l’istituzione europea aveva fissato come limite per l’arresto il 10 maggio del 2006, ma l’ex capo militare era ancora latitante. “Vi prometto l’arresto di Hadzic”, ha oggi aggiunto Tadic, riferendosi all’ultimo criminale di guerra ancora ricercato: Goran Hadzic, presidente della Repubblica serba di Krajina durante la guerra. Devono poi essere stabilite, ha concluso il presidente, quali sono state le persone, anche nel governo, che hanno aiutato i ricercati a nascondersi in tutti questi anni. Tra le congratulazioni e la soddisfazione generali, l’unica voce fuori dal coro è quella del governo di Mosca. “Si potrà parlare della giustizia del tribunale dell’Aja – ha dichiarato il rappresentante russo presso l’Alleanza atlantica, Dmitri Rogozin – solo quando saranno puniti per le stragi sia gli avversari dei serbi sia i responsabili della Nato che fecero bombardare la Serbia nel 1999″. “Dispiaciuto per la perdita di libertà del generale Mladic” si è poi detto Karadzic, attraverso il suo avvocato. L’ex presidente “non vede l’ora – ha aggiunto il legale – di lavorare con lui per rivelare la verità su quanto è accaduto in Bosnia”.

Nella vita del “boia di Srebrenica”, com’era noto Mladic, la violenza sembra essere stata una costante. A due anni il padre viene ucciso dagli ustascia croati, alleati dei nazifascisti. Quando esplode la guerra con la Croazia nel 1991, l’allora colonnello prende il comando dell’esercito federale jugoslavo a Knin, che diventerà di lì a poco la capitale dei secessionisti serbi di Croazia. E’ il periodo in cui Mladic ordina pesanti bombardamenti su Zara, mentre diventa comandante dell’esercito dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia. Guidati da Mladic, i soldati attuano una brutale pulizia etnica – due milioni e mezzo di persone vengono cacciate dalle loro terre – in nome della Grande Serbia. Tra le armi usate per annientare la popolazione, anche torture, stupri e il ricorso a campi di concentramento. Durante la guerra perde la vita anche l’unica figlia dell’ex capo maggiore: Ana si suicida a 23 anni, nel 1994, a Belgrado. Mai chiarito il motivo del gesto, secondo alcuni una conseguenza di quello che il padre stava facendo in Bosnia, secondo altri per la morte del suo fidanzato che il comandante, per allontanarlo da lei, aveva mandato al fronte.

Contro Mladic e l’ex presidente Radovan Karadzic nel 1995 il Tpi formalizza le accuse di genocidio e crimini contro l’umanità. L’anno dopo, per i due viene emesso un mandato di cattura internazionale. Sempre nel 2006, l’ex capo militare viene destituito: non è più a capo dell’esercito serbo bosniaco, ma continua a vivere tra Bosnia e Serbia. Una vita agiata e non troppo ritirata, coperto da una rete di aiuti clandestina e sotto la protezione di Slobodan Milosevic. Fino al suo arresto nel 2001, quando per Mladic inizia la vera latitanza, durata 16 anni.

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