Gli ennesimi colpi di scena in un orrore infinito, che fa impennare share e tirature. Giovedì sera Cosima Serrano, la zia di Sarah Scazzi, è stata arrestata ad Avetrana (Taranto) per le accuse di concorso in omicidio e soppressione di cadavere, mentre ieri sua figlia, Sabrina Misseri, è stata formalmente accusata di omicidio volontario. Sarebbe stata lei, sino a giovedì accusata di concorso in omicidio, a uccidere la 15enne Sarah, sua cugina, strangolandola con una cintura. Un assassinio sulla spinta della gelosia: Sabrina era invaghita di un ragazzo del paese, Ivano Russo, e temeva che la cugina glielo potesse “rubare”. La madre Cosima avrebbe assistito, dopo averla aiutata a preparare la follia. Madre e figlia avrebbero costretto Sarah a salire sulla loro auto e poi l’avrebbero portata nella loro abitazione. La madre della vittima, Concetta, ha già emesso la sua sentenza contro Cosima, sua sorella: “Se ce l’avessi di fronte le direi che è un’assassina”. Poche parole, rilasciate a un nugolo di telecamere e taccuini.
Il caso Scazzi piace ancora moltissimo a pubblico e lettori, perché è una storia di degrado e miserie sempre nuove, sullo sfondo di un sacrificio da tragedia greca. Alberto Abruzzese, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’università Iulm di Milano, non si sorprende: “Vicende di questo tipo hanno sempre suscitato grande interesse, perché toccano aspetti ancestrali, quasi sacrali, del nostro essere, andando a toccare il nostro inconscio“. “Per essere chiari: questo interesse verso l’omicidio Scazzi non può essere letto come il sintomo di un degrado sociale”. Certo, qualcosa di nuovo c’è: “Anni fa questi casi erano raccontati molto bene da alcuni giornali, che avevano cronisti specializzati nella cronaca nera. Oggi – continua – con i nuovi mezzi di comunicazione, c’è un tam tam mediatico che rende tutto più rapido e intenso. Compresi gli sviluppi di un fatto di sangue, dove indubbiamente c’è un tasso di morbosità che attira molta gente”.
Viene da chiedersi se l’informazione odierna è più morbosa di quella pre-Internet. Abruzzese risponde: “Non credo, l’informazione è sempre stata una droga, volendo usare una parole forte. Certo, nei palinsesti di rete questi fatti andrebbero compensati con una pari attenzione su temi diversi. Ma forse in quel caso cambierebbe anche il modo di descrivere gli omicidi, diventando più sofisticato. Quindi, meno utile ai fini di share, perché più ci sono filtri, meno si fa ascolto”.