Nella capitale dell'estate spesso si vedono macchie scure nell'acqua: la colpa principale è degli scarichi e del sistema di depurazione che, soprattutto quando piove, smette di funzionare. I rimedi? "Servirebbero 20 anni e, soprattutto, 1 miliardo di euro"
Forse non molti lo sanno, al di fuori dei riminesi, ma la città per antonomasia del turismo balneare romagnolo ha un sistema fognario indifferenziato. Acqua nere e bianche terminano nelle stesse condotte e quando piove troppo gli scarichi finiscono a mare. Tredici sono i punti di scarico in zone diverse del litorale riminese, da Torre Pedrera al fiume Marano. Quello delle fogne è il problema strutturale più sentito dai cittadini. Risale ai tempi del boom economico, quando Rimini iniziò a svilupparsi a suon di cemento e opere edilizie spesso discutibili.
La città si espanse, ma il sistema fognario rimase uno e misto. E da allora gli scarichi in mare sono cronaca ordinaria quando, a causa della pioggia, l’acqua in eccesso non riesce a defluire verso il depuratore. In questo quadro, non certamente idilliaco né per i residenti né per i tanti turisti, una speranza di risolvere il problema c’è, anche se “forse ci vorranno 20 anni”.
A dirlo è Sergio Giordano del movimento “Basta merda in mare”. Questo gruppo di persone, “indipendenti da qualsiasi schieramento politico” ha scelto un nome senza eufemismi, per non edulcorare un problema grave, avvertito da tutta la cittadinanza. Un positivo cambio di rotta si è avuto, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 con la vittoria, in consiglio comunale, del fronte che sosteneva lo sdoppiamento della rete fognaria. “L’opera – ricorda Giordano – costerà quasi 1 miliardo di euro”, da spalmare in un ventennio. Serviranno così circa 50 milioni di euro all’anno. L’indirizzo comunale di sdoppiamento prevede una modifica all’ultimo piano fognario del 2006. La giunta del sindaco uscente Ravaioli aveva messo in cantiere a Rimini nord, dal porto a Torre Pedrera, lo sdoppiamento delle fogne al 75 per cento, il restante 25 avrebbe continuato a scaricare in mare. Rimini sud invece sarebbe rimasta a rete mista.
“Ci vorrà molto tempo – nota Giordano – affinchè lo sdoppiamneto sia realizzato, ma l’importante è che la delibera comunale detta una regola che andrà seguita. Questo significa che Hera, ogni volta che interverrà sull’impianto fognario, si dovrà attenere alle nuove disposizioni, altrimenti chiunque potrà fare un esposto alla Procura della Repubblica. Prima sarebbe stato inutile”. Alla decisione del consiglio comunale è seguita l’approvazione di un piano strategico, voluto inizialmente da Comune, Provincia, camera di commercio e Cassa di Risparmio di Rimini. Adesso più di 150 associazioni vi hanno aderito.
Per discuterne le modalità attuative si è tenuta, mercoledì 25 maggio nella sala Marvelli della Provincia, un’assemblea che ha riunito tutti i soggetti in causa. Si è parlato dei benefici che dovrebbe trarne tutto l’indotto che sfrutta il turismo balneare e di seawellness, offerta che prevede di portare l’acqua marina all’interno di alberghi ed edifici deputati a altro uso. Ora solo 3 strutture pompano l’acqua di mare: il delfinario, il talassoterapico e l’albergo Ascot di Nanni Edmo, presidente della cooperativa dei bagnini, unico ad avere ottenuto la concessione, circa 20 anni fa. Non è dato trascurabile il fatto che il talassoterapico e l’Ascot si trovano a circa 100 metri dalla fossa Roncasso, uno dei punti di scarico a mare.
Quando piove molto a Rimini si segue questa prassi: l’ingegnere Pierpaolo Martinini di Hera stabilisce l’apertura dei punti di scarico a mare. Il sindaco, una volta avvisato, emette l’ordinanza di divieto di balneazione. Da notare che l’obbligo di esporla è stato ottenuto solo sotto l’ultima amministrazione comunale. Arpa è l’incaricata di mettere l’avviso su appositi pali, piantati in corrispondenza degli sbocchi a mare e di toglierlo 48 ore dopo l’ultima pioggia.
Ogni anno viene effettuata una pulizia del canale che c’è in corrispondenza di piazzale Kennedy. Quest’anno è stata fatta in aprile. Hanno pulito tutti i residui che non sono andati a mare: tonnellate di liquame nero. I fanghi sono stati portati a una discarica speciale di Ravenna che si occupa dello smaltimento di rifiuti tossici. Rifiuti che quindi non sarebbero potuti andare neanche al depuratore venivano tranquillamente sversati in mare.
Nella storia non manca San Marino. La Repubblica del Titano paga Hera per poter scaricare le sue deiezioni a Rimini e portarle al depuratore. I liquami sammarinesi arrivano dal ponte Marano fino a piazzale Kennedy.
Resta da chiedersi che ruolo abbia avuto l’Asl nella vicenda. “Il direttore Francesco Toni interveniva solo se Arpa dava un segnale, ma durante il periodo turistico tutti zitti” è la denuncia di Giordano che la dice lunga sull’omertà, a lungo conservata tra gli operatori del settore, per non pregiudicare l’intera economia cittadina che attorno al mare gravita.
Otiti, vaginiti e altre infezioni venivano da tempo diagnosticate dai pediatri riminesi e il sospetto che c’entrasse il mare c’era senz’altro. “Tutto però è rimasto a livello di supposizione -dichiara Giordano- fintantochè, a Pasqua 2010, due giovani nuotatori che si stavano allenando per una gara di nuoto marittimo hanno contratto un’infezione da salmonella che ha reso necessario un ricovero di due settimane. Hanno denunciato il loro caso con un esposto alla Procura di cui si attende l’esito.
Il nuovo piano strategico regala un po’ di speranza a quei riminesi che vogliono un mare decente. Intanto, nonostante il divieto di balneazione, tanti bambini continuano a fare il bagno in mezzo allo scarico fognario.