Cultura

Uno sguardo umano sull’anoressia

“Odd Days”, fotoreportage sull’anoressia di Simona Ghizzoni è il frutto di tre anni di lavoro, in alcuni centri che in Italia cercano di curare quella che è la prima causa di morte fra le ragazze fra i 12 e i 25 anni. "Le 'mie' ragazze che erano sconvolte e scioccate dalle campagne di Oliviero Toscani"

di Mimmo Lombezzi

“Una volta ero piccola, ero senza parole. Ero piccola e senza parole. Una volta ero molto leggera, pesavo pochi chili. Una volta c’erano solo tre o quattro chili di me, solo pochi chili di me, solo pochi chili avevano il mio nome” (“Ossicine” Mariangela Gualtieri)

Una mano scheletrica tende un mazzo di fiori sullo sfondo di un muro bianco come una lapide, poi da un’altra foto emergono due occhi, due pozzi di paura, che ti ingoiano e nello stesso tempo ti urlano un “sos” indecifrabile. “Odd Days”, il reportage sull’ anoressia di Simona Ghizzoni, (presentato al “Festival della Fotografia etica” di Lodi) è il frutto di tre lunghi anni di lavoro, in tre centri che in Italia cercano di strappare ombre di donna a quella che è la prima causa di morte fra le ragazze fra i 12 e i 25 anni. “I primi giorni non scattavo mai” racconta Simona (33 anni) “passavo le giornate a fare la maglia, a giocare a carte con loro o a partecipare alle loro sedute di yoga o di rilassamento. Solo una o due volte sono stata presente al loro pranzo, perchè per loro quello è un momento di disagio e di imbarazzo. Non a caso lo chiamano ‘terapia’. Cominciavo a scattare solo quando me lo chiedevano loro”.

Ma in due foto le ragazze si mostrano in tutta la loro magrezza..

“Una di loro mi ha chiesto di fotografarla dalla vita in giù, perchè voleva mostrami che ‘finalmente aveva di nuovo un po’ di pancia’. Un’altra era una foto scattata da una di loro e usata come screen-saver”.

Silvia, una delle ‘protagoniste’ di quelle foto, che oggi è guarita e ha una vita normale, a un certo punto vince l’emozione e spiega al pubblico del Festival come sono nate quelle immagini e i suoi occhi – quelli che nello scatto di 3 anni prima erano buchi neri – si riempiono di lacrime : “Ho affidato a Simona il mio urlo” dice “è stata lei la mia terapia”. Inizia cosi’ un racconto sconvolgente non solo per la qualità delle foto realizzate, ma soprattutto per quelle che l’autrice ha deciso di non scattare : “non scattavo mai quando le ragazze si mettevano in posa“ dice Simona “quando ‘esibivano’ in qualche modo la malattia. Quando assumevano pose non naturali. Perchè il contrasto fra il ‘venir bene’ e la realtà della malattia era terribile e perchè fa parte della malattia anche l’esibizione della stessa, dello ‘star male’ ”.

Intendi foto alla Oliviero Toscani?

“Non mi interessa far polemiche con Toscani, perciò ti risponderò attraverso le parole delle mie ragazze che erano sconvolte e scioccate dalle sue campagne”.

Parli della foto di Isabelle Caro la modella anoressica di 28 anni che è morta poco tempo dopo?

“Esatto. Le ragazze sono arrabbiate con quella foto perchè – dicono – l’anoressia non è una malattia del corpo, ma della testa, e quindi non si sentono rappresentate dai loro corpi, perchè é la loro testa che mangia i loro corpi. Sentono che il loro corpo non c’entra niente con loro e di fronte a una foto che mostra così violentemente il loro corpo dicono ‘il nostro urlo è un altro. Di un altro genere”.

Un urlo che la pubblicità “sociale” dei grandi marchi non può ascoltare, perchè vive letteralmente di corpi, e soprattutto perchè ha fretta, ‘deve’ divorarli e darli in pasto ai media, che si tratti dei corpi condannati nel “Death Row” delle carceri americane o che si tratti dei corpi divorati dall’anoressia o dall’Aids. Ciò che conta è esibire l’orrore e attirare l’attenzione, un po’ come fa l’anoressia, la malattia che si pretende di combattere.

Ascoltare l’”urlo” delle anoressiche – una richiesta di attenzione che , spesso nasconde violenze domestiche di ogni genere – rispettare quell’urlo e farlo emergere attraverso immagini dure, ma totalmente rispettose dei soggetti ritratti, è stato il lavoro di Simona Ghizzoni. Un lavoro che, arrivato terzo nella sezione “Portraits single” del World Press Photo”, è anche un atto di denuncia. ”Curare una figlia anoressica in una struttura privata costa 800 euro al giorno” dice Simona ”i tre centri pubblici che mi hanno permesso di lavorare – Palazzo Francisci a Todi, La Casa delle Farfalle a Portogruaro e il Centro Gioia di Chiaromonte – hanno pochi posti e liste di attesa di mesi. Soprattutto nel sud le strutture pubbliche sono totalmente insufficienti”. La collina delle ragazze effimere, la Spoon River dell’anoressia annovera probabilmente migliaia di nomi, ma nel paese che sfoggia veline ed ex-modelle ai vertici delle istituzioni, sembra che il problema non tocchi nessuno.

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