E’ un Roberto Benigni irresistibile e irrefrenabile. Parla di Obama, di Fede, Pisapia, Moratti, del conte Ugolino. Mescola la Divina commedia all’attualità: bisogna passare dall’inferno prima di arrivare in paradiso. Canta e salta sul palco dell’Adriatic Arena di Pesaro davanti a più di sei mila persone arrivate per il Festival della Felicità. Ed è il solito trionfo. Anche perché materiale ne ha in quantità industriale. Come in apertura, quando finge un problema di microfono e allora ci pensa Mr. Obama, quello che “risolve i problemi”: “Non è che mi puoi mandare uno, Barack, che aggiusta il suono perché in Italia c’è una dittatura dei fonici di sinistra. Ah, c’hai pure te uno scocciatore? Non ti leva la mano dalla spalla? Noi sono 17 anni che ci mette la mano sulla spalla. Tu lo devi assecondare, digli sempre di sì, presentagli una donna”.
“Sono contento – continua Benigni– di essere qui a Pesaro per il Festival della felicità che da lunedì si terrà a Milano e durerà per 5 anni”. “Berlusconi comunque ha detto che queste elezioni non avranno valore nazionale e – aggiunge Benigni – se vince Pisapia nemmeno comunali”.
È poi la volta del Pd che sprona a “essere più felice” e ironizza su come Fassino s’è rivolto ai suoi concittadini dopo la vittoria alle urne. Invece di esultare per la gioia rivolgendosi ai torinesi ha detto: “La parola che mi sento di dire più rimarchevole in questo momento è grazie”. Un entusiasmo troppo blando, quello del nuovo sindaco di Torino, che “come il Pd non era più abituato a vincere” e allora Benigni esorta il partito a “riprendere quell’abitudine”.
Poi scherza con il pubblico: “Mi scuso con voi, so che stavate aspettando tutti Gigi D’Alessio, non è potuto venire e ha mandato me”. Benigni ringrazia la città di Pesaro che lo ha voluto a rappresentare il momento più significativo del festival e “essendo il festival della felicità – afferma- non parlerò più di Berlusconi, lo farò la settimana prossima al festival della depressione di Vercelli”.
Non si è dimenticato Benigni delle recenti affermazioni del Carroccio: “La Lega vuole portare tutti i ministeri al nord, addirittura il Quirinale”. E allora perché non “il Colosseo a Cuneo”? Se lo chiede Benigni, mettendosi nei panni di un Bossi che continua il leitmotiv di Roma ladrona e rivendica come un bene lombardo l’anfiteatro Flavio, “costruito dal nonno di Briatore”. D’altronde “felicità è anche non avere pensieri di nessun tipo, ecco perché Calderoli è sempre sorridente”.
A Pesaro tutto parla di Rossini. Tanti luoghi della città sono intitolati a lui e alla sua opera e allora la fantasia vulcanica di Benigni non può non andare al Rossini di Arcore: Berlusconi. “Quando il presidente del Consiglio avrà cent’anni farà il bilancio, ovviamente falso, della sua vita”. E l’immaginazione corre a una Arcore del futuro, in cui ci saranno “via nipote di Mubarak, libreria Papi, arco D’Addario, teatro barzelletta della mela, parco Apicella, cimitero Boccassini, casa di riposo Procura di Milano, obitorio toghe rosse e viale Scilipoti che porterà dritto alla casa di Berlusconi.
Benigni immagina un Berlusconi che, per “distruggere la Procura di Milano”, tenta di convincere Obama a bombardarla, inventandosi la storia che nello scantinato si sarebbero nascosti Gheddafi e il Mullah Omar.
È poi la volta dei più stretti cortigiani di Berlusconi, Emilio Fede e Sandro Bondi. “Per carità – se la ride Benigni – io a Fede gli voglio bene come se fosse normale” e lo ricorda, in chiara difficoltà al Tg4, nel dover ammettere il vantaggio di Pisapia sulla Moratti. Per Bondi spende invece parole di lode: “Durante il suo ministero le rovine sono aumentate, quindi ha contribuito anche lui a incrementare il nostro patrimonio nazionale”.
Canta Benigni e si propone nei panni del presidente del Consiglio che elenca tutto ciò che possiede: “E’ mia l’Italia e tutti i suoi parlamentari, li compro tutti e diventano tutti Scilipoti”, “è mio Milano, almeno fino a lunedì”, “di donne ne ho tante conquistate col mio fascino, un fascino in contanti”.
Benigni si sta ormai preparando alla seconda parte dello spettacolo. Lo fa dedicando la serata agli operai di Finmeccanica e ai soldati feriti in Libano: “Senza l’alto senso della patria e senza il lavoro non siamo più uomini”. L’atmosfera cambia e chiede al pubblico una “sospensione volontaria della credulità”. È tempo di lasciare la parola alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Sul palco del Festival della felicità, Benigni parla “della più grande infelicità cantata da Dante nell’Inferno”. La storia che sceglie di raccontare è quella del conte Ugolino, che chiude la prima cantica. La metafora è chiara: bisogna passare dall’inferno per arrivare in paradiso. Si tiene tutto nel grande racconto di Benigni. Settecento anni di storia nazionale separano i traditori del Cocito, immersi nel ghiaccio della zona più bassa dell’inferno, dal gruppo dei Responsabili del Transatlantico, ma i vizi di casa nostra restano gli stessi e gli uomini per ogni stagione tornano ad affacciarsi sulla scena politica in cerca di qualche buona opportunità.