Riceviamo a pubblichiamo le obiezioni di una lettrice di “Saturno”, Donatella Ramorino, con la replica di Antonio Pascale:
Egregio Direttore,
Le scrivo a proposito della pagina VI dell’inserto Saturno del 13 maggio.
Sulla sinistra una recensione molto ampia relativa ad un pamphlet sulla green economy, che già dal titolo (Ecologismo insostenibile) promette male.
L’autrice infatti non si limita ad esporre le tesi del testo commentato, ma usa una serie di termini che non lasciano dubbi sulla sua opinione, ferocemente contraria non all’ecologismo di facciata, ma al vivere scegliendo comportamenti responsabili nei confronti dell’ambiente, delle nuove generazioni e del mondo dei più poveri.
“Ecco finalmente un libro che … ci salva… dall’ecologia, … bizantini distinguo davanti alla raccolta differenziata… , …minacciosi avvertimenti dei climatologi… , … stillicidio di tutti quei gesti che ci vengono richiesti per salvare il pianeta…” sono purtroppo il segno evidente non solo di una completa insensibilità verso i problemi ambientali, ma di una profonda ignoranza dei meccanismi biologici che regolano la vita sul nostro pianeta.
Se non bastasse, spostando solo poco più a destra lo sguardo, ecco un altro bel titolo: Petrini creazionista anti-ogm, che punta a screditare Carlo Petrini collegandone il pensiero con la teoria più retriva e bigotta sulla nascita delle forme di vita superiori sulla terra.
Ancora una volta è l’ignoranza che mi spaventa: l’articolista infatti dice che ad un esame di biologia Petrini sarebbe stato bocciato perché afferma che le piante mal sopportano le modificazioni genetiche, mentre la storia insegna che “nei millenni non abbiamo fatto altro che spostare geni da una parte all’altra”.
Ma vogliamo scherzare? L’articolista non sa distinguere tra selezione artificiale, quella operata dall’uomo nei millenni incrociando piante scelte apposta per migliorarne le caratteristiche, una modalità operativa che rispetta quello che avviene naturalmente in modo casuale, e tecniche di manipolazione genetica (ogm), con le quali si inseriscono nelle piante geni di specie diverse, praticamente mai vegetali, andando a modificare dall’esterno il DNA, come mai la natura non potrebbe (e tra l’altro con risultati sulla produttività e sulla resistenza alle malattie assai deludenti).
Il tutto partendo dalla primitiva idea che un gene controlla una proteina ed un carattere, teoria ormai ampiamente superata.
Chi è che sarebbe bocciato all’esame di biologia?
Sono profondamente delusa da come scegliete i vostri collaboratori, e soprattutto dal fatto che sosteniate tali idee, facendo oltretutto passare come retrive, acritiche, e proprie di poveri ignoranti le opinioni opposte.
Un bell’esempio di giornalismo obiettivo!
Prof.ssa Donatella Ramorino, biologa e specialista in patologia generale
La risposta di Antonio Pascale:
Approfitto di questa lettera per cercare di tranquillizzare la professoressa Ramorino e i lettori. Anche gli articolisti “eretici” di Saturno hanno a cuore le sorti del mondo, anche loro credono che così, con questo sistema di sviluppo, non si possa andare avanti: è vero che abbiamo raggiunto un invidiabile benessere, è vero che nessuno di noi è disposto a ridurre il proprio potere d’acquisto, ma è anche vero, anzi è incontrovertibile, che le risorse disponibili si stanno esaurendo.
Tre grafici elementari collegano infatti l’aumento di produzione al benessere e all’esaurimento risorse disponibili. Noi siamo su un picco, dobbiamo decidere cosa fare, come muoverci in futuro. Quindi, tra noi (buoni), c’è concordanza tra gli obiettivi, l’unica differenza è credo nei metodi. Abbiamo molte possibilità per vincere la sfida. Mi reputo, infatti, un ottimista razionale, a patto che:
a) usiamo meglio che possiamo l’innovazione tecnologica per produrre con meno costi sociali,
b) integriamo le conoscenze.
La contemporaneità è infatti soggetta alla complessità, e sono troppe le variabili che determinano un sistema. Per poterle leggerle tutte è indispensabile collaborare.
La mia lettura critica del pensiero di Carlo Petrini è, come si dice, fatta da sinistra. Alcuni aspetti delle sue analisi sono giusti e sono soprattutto condivisi da tanti: agronomi, biologici, genetisti, economisti. Quello che gli addetti ai lavori notano, però, è che le tesi di Petrini, supportate, del resto, da giornali battaglieri come Repubblica, peccano e spesso di nostalgia e tecnofobia. Se si arriva a dire le piante non sopportano le modifiche genetiche, non solo si avanza un’ipotesi bislacca (e se non lo è bisogna dimostrarla) ma si corre il rischio di semplificare dei problemi la cui trattazione dovrebbe essere fatta mantenendo alta la competenza. Le piante si evolvono e si modificano anche se l’uomo non ci mette la sua mano. La modifica non riguarda un singolo gene sfuggito, ma interi set genomici che talvolta raddoppiano. Il frumento si è originato mediante incroci tra specie differenti seguite da un raddoppiamento cromosomico. Sono seguiti altri incroci e miscugli, e i patrimoni genetici delle piante si sono trasformati così tanto che oggi le specie selvatiche e quelle coltivate appaiono lontanissime per forma, strutture, funzione. Se poi Petrini ha un’altra idea al riguardo alla resistenza delle piante alla mutazione deve per forza portare studi scientifici che testimoniano quanto da lui affermato. Per fortuna nelle discipline scientifiche le opinioni valgono poco: non posso dire “ho visto l’unicorno”, devo dimostrarlo.
Sono uno scrittore, e tale rimango. Ho maturato competenze (empiriche) di agronomia e curiosità scientifiche che mi hanno portato a scrivere libri sulla scienza e collaborare con riviste e siti di divulgazione scientifica. Mi interessa molto non tanto cosa fare, ma come farlo, cioè, attraverso quale metodo posso arrivare ad affermare quello che affermo. Non essendo uno scienziato e non producendo studi, posso solo leggere con attenzione quanto di meglio la scienza ha prodotto in questi anni sugli argomenti sensibili che stiamo trattando. Credo sia più utile (e anche umile) ragionare su dati condivisi dalla comunità scientifica, perché misurabili e comprovati. Il metodo scientifico mi piace molto, è umile e democratico e va avanti per successive integrazioni ed elaborazioni. E credo che l’assenza di misura che vige in Italia, le opinioni (politiche e non) diffuse e senza controllo siano anche conseguenza dell’abbandono o della scarsa penetrazione della metodologia scientifica.
Ora, quando frequentavo la facoltà di Agraria, a Portici, negli anni ’80, grossolanamente, i professori si dividevano in baroni di destra e innovatori di sinistra. I primi amavano la lotta chimica, i secondi studiavano miglioramento genetico perché desideravano dotare la pianta di nuove resistenze alle malattie così da abbassare la dose di chimica e liberare gli agricoltori da un costo aggiuntivo. Quello che ho imparato dai corsi di genetica sperimentale (allora una disciplina giovane e affascinante) è che questi incroci “naturali” a scopo migliorativo, naturali non erano affatto. Il nostro grande genetista, Strampelli, ha incrociato, per esempio, varietà locali di grano con varietà giapponesi. Il frumento poi è una pianta autogama, quindi bisogna forzare (cioè castrare i fiori di una delle due specie) per ottenere un incrocio.
Ricordo ancora uno schema a colori che mostrava cosa succedeva al genoma della pianta ottenuta incrociando due specie. Se una pianta era rappresentata con il verde e l’altra con il rosso, il risultato era una macchia di colore, insomma un miscuglio di geni. Con la tecnica del DNA ricombinate invece, i colori rimanevano stabili, del resto, si preleva solo il gene che produce quel carattere utile, quindi di fatto: maggiore precisione.
Se la professoressa crede che l’ingegneria genetica consista nel modificare il DNA dall’interno io, come cittadino, ho bisogno di sapere su quali basi scientifiche avanza quest’affermazione e perché mai un incrocio o l’induzione alla mutagenesi modificherebbero il DNA dall’esterno. Perché l’interno è peggio e l’esterno è meglio? ecc. Quando ho questi dubbi, vado su pubmed, il portale che raccoglie più di 19 milioni di studi in campo medico-scientifico, e cerco studi al riguardo, così che possa o imparare qualcosa di nuovo. Su pubmed non risultano studi del genere, ma forse mi sbaglio.
Con la tecnica del DNA ricombinate si trasferisce un gene – e un gene non contiene l’essenza della specie, quindi non vale dire che sono specie animali. Veniamo da un progenitore comune e tra il nostro DNA e quello di un fungo ci sono somiglianze. Quando diciamo che condividiamo con un topo il 90% del nostro DNA significa che se il laboratorio prendiamo un’elica del DNA di un topo e un’elica del DNA umano, queste due si appaiono per il 90%. Come una cerniera che si chiude per il 90%.
Gli ogm sono “solo una definizione legale, tutto è modificato”. In commercio non ci sono ogm realizzati per aumentare la produzione, se la professoressa è a conoscenza di una pianta ogm costruita in tal senso la citi. A me non risulta. Le due piante in commercio sviluppano una resistenza a un’erbicida e una resistenza a tre ordini di insetti, lepidotteri, coleotteri e ditteri. Se si ottiene più produzione è solo perché si hanno meno perdite. Dario Bressanini anche su questo spazio ne ha ampiamente parlato e rimando alla sua precisa e documentata trattazione la spiegazione di ogni “ragionevole dubbio” sugli ogm. Aggiungo solo che, là dove si possono coltivare, gli ettari coltivati con soia RR o con mais BT sono in aumento, dunque agli imprenditori agricoli piace la novità, e la usano. Lavoro da 24 anni nel settore agricolo, conosco i contadini e posso testimoniare su un aspetto: se una pianta non funziona, se non fornisce benefici, gli agricoltori la eliminano dal loro piano produttivo, sono sperimentatori seri e non si lasciano ingannare dai messaggi pubblicitari delle multinazionali.
Certo che poi il gene ha altre funzioni, ci mancherebbe, ma la sempre maggiore approfondita conoscenza delle funzioni di un gene, ci renderà più facile capire il funzionamento e dunque anche il trasferimento dei geni risulterà più facile e più sicuro. Se poi la professoressa vuole confutare il dogma della biologia, può farlo, deve solo produrre prove.
Un’ultima cosa. La genetica, a prescindere dalle tecniche che si vorranno usare in futuro (sempre per passare i geni da una parte all’altra) non potrà fare miracoli produttivi, lo dicono molti genetisti. Tanto è stato già fatto per incrementare la produzione (ibridi) e spiace dirlo, di più non si potrà ottenere. Sognare di piante giganti ottenute grazie alla genetica agraria è un esercizio di fantasia sterile. Ma considerato che su un raccolto pari a 100, il 20-30% rimane “in campo” perché danneggiato dagli insetti o perché la pianta è sottoposta a stress (idrici, freddo o caldo, ecc.) si potrà lavorare per proteggere la pianta dagli suddetti stress, biotici e abiotici. Qui davvero il miglioramento genetico potrà darci una mano, è necessario fornire la pianta di barriere (e tutte le tecniche di trasferimento tradizionali e nuove andranno bene allo scopo) ed è indispensabile che queste tecniche di miglioramento vengano maneggiate anche dalla ricerca pubblica. Allo stato dei fatti, la paura dei cosiddetti ogm, ha mosso i nostri politici affinché si blocchino tutti gli esperimenti: anche quelli in laboratorio, di fatto, in Italia, non sono realizzabili. I nostri genetisti devono arrancare dietro la modernità e usare i mezzi tradizionali. Sarebbe come dire: stiamo realizzando macchine che consumano di meno e sono più sostenibili e noi usiamo ancora la FIAT 600 e sogniamo i cavalli o gli asini con i quali risolvere i problemi dell’agricoltura.
Antonio Pascale