La parabola politica di Sarah Palin è veramente interessante. È diventata governatore dell’Alaska come repubblicana, essendo lo stato a maggioranza democratica. Il risultato, certamente eccezionale, è stato raggiunto perché, nella prima parte della sua carriera politica, la Palin si è costruita la fama di politico indipendente.
Come sindaco della città dove abitava, Wasilia, ha combattuto l’establishment del suo stesso partito, quello repubblicano, accusandolo di corruzione, e lo ha battuto raccogliendo alle elezioni una minoranza del voto repubblicano e una maggioranza di quello democratico. Così, quando si è candidata a governatore, la Palin poteva contare non soltanto sull’appoggio dei repubblicani delle generazioni più giovani, che vedevano in lei il paladino della legalità, ma anche degli indipendenti e di una gran parte dei democratici non ideologici. La Palin ha quindi speso la prima parte della sua carriera politica preferendo definirsi come un politico bipartisan, che preferisce definirsi sui diversi temi – aborto, ecologia, e così via.
Tutto questo cambia quando la Palin diventa la candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti. John McCain, il candidato alla presidenza, è un repubblicano moderato, quindi il ruolo lasciato al candidato alla vicepresidenza è quello di repubblicano conservatore. Fin dalle sue prime dichiarazioni, fin dal suo discorso d’accettazione alla Convention repubblicana, la Palin interpreta il suo ruolo alla lettera. Si presenta come la vera rappresentante dei valori tradizionali americani: Dio, famiglia e patria.
Finita la campagna elettorale, però, la Palin paga il conto. Torna in Alaska e capisce presto che la coalizione che l’ha eletta governatore si è disintegrata. Essendosi spostata a destra, ha perso il favore del suo elettorato naturale, indipendenti e democratici moderati. La Palin ne prende atto, dà le dimissioni da governatore e si mette a scrivere libri e a comparire in televisione. In pratica (almeno per il momento), lascia la politica.