Luigi Cremonini era già finito nel mirino undici anni fa, quando solo l’intercettazione casuale di una telefonata tra giostrai veneti permise ai carabinieri di Genova di evitare il suo sequestro. D’altronde nel mondo dei prosciuttifici, dilaniato dallo sfruttamento e dal lavoro nero, ruotano vari malavitosi. Caporali, ma anche autori di estorsioni anomale.
I campani Luciano Rosa Salsano e Alfonso Perrone (poi condannato in altro procedimento per il pizzo nei ristoranti con l’aggravante di aver favorito il clan dei Casalesi) furono arrestati nel 2007 per la richiesta di un milione e mezzo di euro a Sante Levoni, titolare della Alcar di Castelnuovo.
Nei giorni scorsi, a quattro anni di distanza dal mancato sequestro, sette chilometri a sud, nella sede del gruppo Inalca di Castelvetro, arrivano due buste impermeabili ai controlli della scientifica. Contengono lettere minatorie al direttore Serafino Cremonini: “Da tempo stiamo seguendo i tuoi movimenti e quelli dei tuoi cari ma noi non facciamo sequestri, rendiamo le persone fortemente invalide”. E la richiesta di mezzo milione di euro da consegnare nelle modalità poi fornite da un fantomatico “assicuratore Tirelli”.
Chiamate rapidissime da una decina di cabine telefoniche isolate nel quadrilatero tra per concordare la consegna “delle banconote di piccolo taglio in un borsone verde”. Solo una serie di appostamenti (e turni di straordinario) contemporanei ha permesso l’ immediato intervento dopo la localizzazione. E’ avvenuto venerdì scorso presso una cabina di Rubiera: Cocchi e Chiarietti avevano ancora in tasca il numero di Cremonini junior. Nell’interrogatorio di garanzia hanno confessato e giurato di avere agito da soli, ottenendo dal Gip la concessione dei domiciliari.