Per usare un termine coniato dal maggior antropologo vivente Marc Augé, i “non luogo” sono gli spazi anonimi e privi di storia, affollati da individui che non si conoscono tra loro e che non hanno alcuna intenzione a creare relazione.
Ipermercati, televisione, computer, Gardaland o Mirabilandia e via dicendo. Analizzando il concetto mi rendo conto di esser parte attiva di questo gruppo di persone schiavizzato e affamato di contenuti/contenitori privi di sostanza umana. Qualcuno potrà obiettare, però è così. Un esempio doc è internet: avvicina e, nello stesso tempo ci rende estranei. Le relazioni che si costruiscono tramite i social network non sono legate a luoghi reali, essendo prive di riconoscimenti olfattivi e tattili, fondamentali nella costruzione di un rapporto umano vero. Rapporti, relazioni, emozioni … siamo ancora in grado di riconoscere quelle genuine? E’ difficile dirlo. Esausti e stanchi da indigestioni informatiche raramente si trova un po’ di tempo per pensare … e distinguere il vero dal vero ibrido. Il luogo luogo dal luogo virtuale.
Bologna, agli internauti, offre molto. Per esempio, cliccando semplicemente su “girabologna” ci si può tuffare in esperienze virtuali di ottimo livello stando comodamente seduti a casa. Cosa manca? Oltre ad essere carente di una descrizione più approfondita, l’esperienza è priva di “tocco umano”. E non mi riferisco alla guida competente che può cucire su misura i contenuti e adattarli a chiunque, ma al luogo, vissuto e aspirato a pieni polmoni. Pensate ai portici. Per “capirli” bisogna viverli, fermarsi qua e la, ascoltare ciò che hanno da raccontarci … e di storie c’è ne sono tante … Medievale in legno o quattrocentesco ornato in cotto, ogni portico nasconde un’avventura urbana che occasionalmente riaffiora. Dal muro sgretolato e odoroso si sprigionano aneddoti e cronache che sorprendono sempre… Però bisogna esser lì pronti ad accogliere l’imprevisto.
Tale luogo, colorato di luce in continua metamorfosi, diventa testimone di incontri casuali o sede fissa di appuntamenti, ritrovi di coppie o di gruppi. Conseguenza: ogni passante lascia il suo contributo sensoriale. Sgradevole il panka bestia che ha abolito il sapone dalla sua “spesa quotidiana”, piacevole la signora elegante e profumata che con passo felpato e orgoglioso percorre il suo tour premeditato. Ogni portico diventa così una concentrazione di percezioni che si sposano per sempre con quella che è la sua essenza costante. L’essenza del luogo. L’identità percettiva della città muta cambiando percorso, evolve con il passare delle ore del giorno, con il ciclo delle stagioni … però riusciamo sempre a riconoscerla e renderla nostra.
Può accadere, passando sotto il portico quattrocentesco di San Giacomo Maggiore di via Zamboni, di avvertire un non so ché, e memorie, che si credevano perdute, riemergono con sorprendente nitidezza sfiorando e negando il disgusto momentaneo dovuto ai rimasugli lasciati da qualche gruppo di studenti la sera prima. E’ “colpa” la storia? Siamo noi? E’ l’odore? Oppure è un insieme di cose che compaiono inaspettatamente quando ci si ritrova in quel punto a quell’ora?
Credo sia, semplicemente, il Luogo.
Qualche giorno fa, il 26 maggio, si è tenuto proprio lì di fronte, nella Sala Carracci di Palazzo Magnani, in occasione della XV Borsa del Turismo delle 100 Città d’Arte d’Italia, l’XI Forum Europeo dei Siti dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel quale i rappresentanti delle varie istituzioni hanno scambiato opinioni intorno alla candidatura dei Portici di Bologna al prestigioso riconoscimento. C’è la farà la città a guadagnarsi anche questa, più che meritata, lode?
Il luogo portico“ patrimonio dell’umanità”parla da sé … Ora è il momento di chi ci vive a riconoscerlo come tale e contribuire, in forma individuale o collettiva, alla sua valorizzazione.