Il 30 ottobre del 2010 avevo scritto un post dal titolo: “Leghisti aprite gli occhi“.
Mentre tutti davano la Lega in crescita vertiginosa (si parlava di 15 o 18 per cento) a me pareva evidente il rischio che il partito di Bossi pagasse un prezzo elevatissimo per aver fatto da guardaspalle, senza mai un momento di raziocinio, alla decadenza del Pdl e del premier. Il mio principio era semplice: gli elettori della Lega non sono tutti valligiani ignoranti ed egoisti. Tanti operai ex comunisti, tanta gente per bene, vota Lega per protesta, per amore del proprio territorio, per paura, per omologazione, per mancanza di alternativa. A molti di loro verrà oggi voglia di dire basta con i Rubygate, con le orge da basso impero, con i processi da casta, con le connivenze mafiose. E così è avvenuto. La Lega perde a Milano, Novara, dovunque. Feudi perduti, che bruciano più ancora di quanto grave non sia la ferita.
Insieme alla vittoria di un magistrato onesto a Napoli (notizia ben più rilevante della vittoria di Pisapia a Milano), è questo il dato più importante della tornata di amministrative appena conclusa. Se nella Lega le persone per bene abbandonano una nave che un tempo navigava velocemente, e ora viene guidata male, rallenta e minaccia di affondare, c’è ancora una speranza nel Paese: che una parte consistente degli italiani rinsavisca dopo anni di ipnosi.
Le ipnosi collettive non sono cosa rara per noi, ne ricordiamo altre. Ci sono momenti, anche prolungati, in cui goccia a goccia ci abituiamo a cose impensabili, tendiamo a ritenere normale l’assurdo, digeriamo ogni giorno sassi più indigeribili. E’ andata così in quesi anni, dove perfino fare la figura degli imbecilli sul palcoscenico internazionale non è riuscito ad offenderci in massa, dove avere una guida politica corrotta, malata, inquisita non ci ha destato riprovazione. Dove, soprattutto, il pensiero egemonico del denaro che tutto compra, del potere che tutto può, non hanno generato in noi alcuna rivolta.
Ecco. Se molti elettori della Lega, pur così partigiani, pur così integralisti nel loro voto soggettivo, riflettono e si indignano, dicono “non nel mio nome” e “non oltre quel limite”, allora una speranza c’è ancora. Non può essere ancora una speranza positiva, di ripartenza, perché in Italia, fuori dalle amministrazioni, un’alternativa per il Paese ancora non c’è. Ma almeno è una speranza di interruzione, quella che ci fa credere che possiamo forse fermare la marcia assurda verso la decadenza che, fino ad oggi, sembravano tutti felici di fare.