Amnistia per tutti i detenuti che hanno “commesso crimini prima” di oggi e dimezzamento delle sentenze che prevedono il carcere. Sono le disposizioni decise oggi con un decreto dal presidente siriano Bashar Al Assad. Il documento presidenziale riguarda anche gli appartenenti al movimento dei ‘Fratelli musulmani‘, organizzazione dichiarata illegale nel 1980 e la cui affiliazione è punita con la pena di morte. Dopo le condanne internazionali al regime per la repressione violenta delle proteste, il governo siriano ha riconosciuto oggi – per la prima volta dopo decenni – l’esistenza di prigionieri politici nelle carceri del Paese. Un’ammissione implicita, contenuta nel secondo pacchetto di riforme decise dalla presidenza e che comprende “anche la questione dei detenuti politici”, riferisce una nota governativa. Secondo le organizzazioni umanitarie siriane e internazionali, prima delle manifestazioni erano almeno 3mila i prigionieri politici in Siria. Da metà marzo ad oggi, sempre secondo fonti umanitarie, sono oltre 10mila i civili arrestati perché colpevoli di aver espresso pubblicamente il loro dissenso. Quella di oggi è la seconda amnistia promulgata dal capo di Stato siriano in due mesi. Ad aprile, Assad ha emesso un’amnistia per i crimini minori, tra cui il furto, la diserzione militare e la falsificazione.
Ma se il regime sceglie da un lato la via politica, dall’altro continua nel Paese la repressione delle proteste. Secondo alcuni testimoni, l’esercito siriano sta sparando con artiglieria e carri armati contro Rastan, località vicino a Homs, nella Siria centrale. I residenti, per la prima volta dall’inizio delle manifestazioni, avrebbero deciso di rispondere al fuoco dei militari con fucili da caccia. Ma gli abitanti negano, attraverso le informazioni diffuse dagli attivisti su Twitter. Sempre nella zona centrale del Paese, almeno 15 dei soldati impegnati nella repressione delle proteste avrebbero disertato.
Sono intanto rientrati in Siria un migliaio dei 3mila profughi fuggiti due settimane fa nel nord del Libano dalla cittadina sunnita di Tall Kalakh. La decisione è arrivata “dopo che un membro della giunta comunale di Tall Kalakh ha visitato Wadi Khaled e ha rassicurato i rifugiati sul loro ritorno in sicurezza”, spiega Rami Khazzal, sindaco di Muqlaybe, località della regione frontaliera libanese di Wadi Khaled dove si erano rifugiati i profughi siriani. In Libano restano ancora 2mila profughi. “L’emergenza umanitaria continua – è l’appello di Khazzal -, qualcuno deve aiutarci”.