Proseguono anche dopo il voto i titoli-cloroformio del Pompiere della Sera. Lunedì in prima pagina troneggiava su consueto sermoncino di Francesco Alberoni, alias Banal Grande, un civettuolo “I molteplici rischi di chi è abituato a vincere”. Ma c’è un giornale (si fa per dire) che contende a quello di via Sonniferino il Guinness del titolo più palloso del millennio: il Riformista che, da quando lo dirige Emanuele Macaluso, tenta disperatamente di passare dalle 3 mila copie di Polito e Cappellini allo zero assoluto, o meglio al segno meno. E ce la può fare. I titolisti sono tutti coetanei di Macaluso, per giunta selezionati rigorosamente nella categoria degli anestesisti. Nell’ultimo mese l’eventuale lettore del quotidiano più amato dal Quirinale ha dovuto slalomare fra “Verso la conta”, “Contro ogni personalismo”, “Nord e Sud dopo il voto”, “Il ruolo del Presidente oggi”. Poi, nel caso fosse sopravvissuto, ha potuto arraparsi con “La chiarezza politica e il paravento elettorale”, acculturarsi con “Altro che Kant, per Bossi si pensi ad Aristofane”, sorprendersi con “Nel sindacato si discuta”, entusiasmarsi con “I sindacati passino ora ai fatti”, eccitarsi con “Contrastare l’evasione per salvare lo sviluppo” e godere come un riccio con “Gli auguri di Napolitano al Riformista”. Ma è stata “L’etica politica di Giolitti e Geremicca” a dargli una sferzata di energia, casomai non fossero bastati “Un impegno comune per la riforma” e “Il nuovo socialismo includa i fermenti attuali”.
Molti titoli parrebbero degni, più che di un articolo, di un trattatello filosofico, una monografia politologica, un’analisi sociologica (ma pure psichiatrica): “L’eredità politica di Giolitti”, “La crisi europea del debito”, “Le elezioni e il sistema politico”, “L’orizzonte della sinistra” (presto “Brevi cenni sull’universo”). Altri paiono rompicapo da settimana enigmistica: “È l’Italia il problema del Mezzogiorno?” (ah saperlo), “Ranieri risponde a Macaluso” (resisterà Macaluso alla tentazione di rispondere alla risposta di Ranieri?), “Il riformismo in questo 1° maggio” (ma il 2, 3, 4 e nei restanti giorni di maggio, a che punto sarà questo riformismo?). Altri sono pezzi di modernariato molto richiesti su eBay al pari del borsello di pelle a tracolla: “Le sfide che attendono le sinistre europee”, “Il cittadino esiste prima del partito”, “Il partito che c’è e quello che non c’è”, “Ballottaggi e nuovi scenari”, “Economisti e crisi”, “Natta illuminista, giacobino e comunista”. Titoli scartati da Rinascita e dalla Literaturnaja Gazeta negli anni ‘50 per rispetto dei lettori e ora recuperati in extremis.
Talora entra in scena il Giamburrasca di redazione (si sospetta dell’editore Gianni Cervetti, arzillo bohémien già capo dei comunisti miglioristi milanesi, detti anche “piglioristi” per via delle dita prensili di alcuni di essi): si diverte a infilare in pagina all’ultimo momento, profittando del momentaneo assopimento del direttore, titoli birbantelli del tipo: “Il voto alternativo del partito mediano”, “La crisi è di sistema”. E, volendo proprio esagerare, “Intervista a Nicola Rossi: ‘Il tempo delle soluzioni di emergenza è ormai finito, ci vogliono scelte politiche’” (perbacco). Ieri un Macaluso più scapigliato che mai titolava: “Le elezioni, la crisi, il paese”. All’interno l’appetitosa analisi (“Pisapia, nuovo modo di gestire l’hinterland”) dell’ultimo acquisto del Riformista: Giacomo Properzj, ex repubblicano milanese, già assistente del sen. Antonio Del Pennino. Sia lui sia Del Pennino furono condannati per Tangentopoli. Properzj, avendo perso la vista in un incidente di caccia, era noto per un ingegnoso sistema di conteggio delle mazzette: le avvicinava all’orecchio e, dal fruscio più o meno prolungato, verificava che non mancasse nulla. Ora Del Pennino e il suo registratore di cassa auricolare sostengono Pisapia sul Riformista. Properzj stigmatizza pure i “ridicoli pantaloni viola” di Formigoni che a Milano “vuole avere le mani in pasta”. Meglio le orecchie.